Sembriamo un’umanità in preda all’impegno continuo, dall’essere vigili al mattino quando dobbiamo timbrare il cartellino per entrare in ufficio, alla fila negli ospedali pubblici per avere una tac. Figli impegnati sempre e ovunque: a lezione di sport, lingue, e tra un accompagnamento e l’altro non ci si accorge del pargolo che prende anti depressivi. È la società del produci, consuma e crepa. E alla fine stiamo crepando, più o meno tutti consapevolmente, seppur con le nostre creme alla bava di lumaca e acido ialuronico. Ci siamo fatti una pandemia e ci stiamo «godendo» una guerra seduti comodamente dal nostro divano occidentale.Una morte spirituale raccontata con giri di valzer, violini, chitarre e fiati

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Capossela e i venti di guerraASSISTIAMO come spettatori e senza avere in mano nemmeno più il telecomando. Non andiamo a votare, però protestiamo per la nostra squadra del cuore. Siamo gossip dipendenti , interessati a quello che i politici indossano in tv ma ci scandalizziamo se una madre lascia il proprio bambino davanti ad un ospedale senza preoccuparci di conoscere la storia e la paura di quella donna. Non andiamo a votare, però ci piace quando un’altra nazione protesta per i propri diritti. Abbiamo perso di vista l’unica cosa che conta, ovvero l’impegno civile e politico.
E allora scatta l’urgenza, per un artista come Vinicio Capossela di raccontare il tempo che viviamo, che ci ricorda di premere quel pulsante rosso che è l’unica forma di salvezza per scendere da un treno che corre all’impazzata sulle rotaie ma che non ha un conducente e che ci sta portando all’autodistruzione. 13 canzoni urgenti (Warner, in uscita il 21 aprile), questo è il titolo del suo nuovo album. 13 che porta con sé astri e disastri, Sant’Antonio e quella carta dei tarocchi che rappresenta la Morte ma è l’unica via per la rinascita. Una morte spirituale quella che viene rappresentata in questi 13 brani, suonati con giri di valzer, violini commoventi e chitarre e fiati che sembrano appartenere ad epoche lontane ma più che mai attualissimi. C’è qualcosa di profondamente spirituale in questo album, una ricerca dell’umanità perduta quasi disperata, seppur chiara e netta. La scrittura è completamente diversa rispetto ai lavori passati, le linee sono dirette e le tematiche più esplicite che mai. L’esigenza e in questo caso l’urgenza di essere più diretto possibile. C’è qualcosa che va al di là del bene e del male e che rappresenta l’unica e inossidabile forma di salvezza, ovvero l’amore come Capossela ci ricorda nel brano Il bene rifugio.

E POI C’È LA GUERRA come in La crociata dei bambini, che ci riporta a sfogliare Brecht e quell’indissolubile legame tra assistere alla morte e rimanere inermi. E poi la violenza sulle donne nel brano La cattiva educazione, dove Capossela non usa mezzi termini quando dice – « sono state le botte date a mia madre…è stata la cattiva educazione che non ha mai insegnato all’emozione». Ecco, la mancanza di un’educazione all’emozione porta una società a non avere più rispetto dell’altro. Per questo 13 canzoni urgenti non è solo un album politico, pieno, ricco di riferimenti culturali da Celine, ad Ariosto a Brecht, alle lotte partigiane e quotidiane delle donne ma è un album carico di commozione. Commozione verso il dolore degli altri, commozione verso qualcosa che ci sta sfuggendo di mano, la guerra, la violenza, l’indifferenza. Le 13 canzoni urgenti sono un monito a premere quel bottone rosso che è l’unica cosa che può fermare questo treno impazzito. Fermarsi, riflettere, scegliere, decidere ed emozionarsi, prima che sia troppo tardi.