Capolavori in guerra, l’avventurosa storia della loro salvezza
Mostre Alle Scuderie del Quirinale, «Arte liberata 1937-1947», a cura di Luigi Gallo e Raffaella Morselli. Un percorso fra cento opere provenienti da diversi musei per narrare l'epico lavoro di soprintendenti e storici dell'arte alle prese con un patrimonio inestimabile sotto i bombardamenti e preso di mira dalle brame naziste
Mostre Alle Scuderie del Quirinale, «Arte liberata 1937-1947», a cura di Luigi Gallo e Raffaella Morselli. Un percorso fra cento opere provenienti da diversi musei per narrare l'epico lavoro di soprintendenti e storici dell'arte alle prese con un patrimonio inestimabile sotto i bombardamenti e preso di mira dalle brame naziste
Jole Bovio Marconi, archeologa e soprintendente di Palermo e Trapani, oltre che direttrice del museo nazionale, non si fece cogliere impreparata dai bombardamenti devastanti che colpirono la sua città nel 1943. Per mesi aveva lavorato instancabilmente con l’obiettivo di mettere al sicuro il patrimonio artistico, creando «rifugi» per i capolavori inamovibili e portando altrove quelli trasportabili. Era riuscita anche a far staccare le Metope del tempio C di Selinunte, le Grondaie di Humera e i mosaici romani. E quando il 5 aprile il suo museo venne semi-sventrato, la maggior parte dei tesori era già in salvo.
LA SUA FIGURA (una delle poche donne insieme a Fernanda Wittgens e Palma Bucarelli che organizzò i «soccorsi» su Roma) è ricordata ampiamente nella mostra appena apertasi alle Scuderie del Quirinale (visitabile fino al 10 aprile 2023), dal titolo Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra, a cura di Luigi Gallo e Raffaella Morselli, organizzata dalle stesse Scuderie, con la Galleria nazionale delle Marche, l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione e l’archivio Luce. Più di cento opere, fra cui Tiziano, Piero della Francesca, El Greco, Guercino, Holbein, Hayez tracciano una cartografia di musei consentendo, contemporaneamente e viaggiando nel tempo, di ammirare dipinti e sculture altrimenti disseminati sul territorio.
MA, OLTRE ALLA DANAE tizianesca (che fu sottratta all’archeologico di Napoli dai nazisti) o alla Madonna di Senigallia, i veri protagonisti sono quegli uomini e le donne, funzionari dell’amministrazione delle belle arti (Argan, Lavagnino, de Rinaldis, Wittgens, Arcangeli, Rotondi, Moschini, Bucarelli, Bovio) che scrissero pagine epiche in un momento drammatico, sottraendo all’infuriare del conflitto bellico e all’ingordigia nazifascista (contravvenendo clandestinamente alle «norme»), molti capolavori sulla via della sparizione o distruzione. Li misero al riparo, rischiando la loro vita e bloccarono i traffici illeciti dove fu possibile. In mostra, si ripercorre anche la biografia dell’ambiguo Rodolfo Siviero, 007 a caccia di beni predati, prima fascista convinto e poi antifascista. Recuperò oltre tremila opere trafugate.
L’ESPOSIZIONE, con l’ausilio di preziosi filmati d’epoca – che testimoniano sia la brama collezionistica di Goering a spese altrui, sia il certosino lavoro, città per città, di messa in sicurezza delle migliaia di opere, patrimonio dell’umanità – procede come una grande narrazione divisa per regioni, tessendo un racconto avvincente di quegli «spostamenti» e «ricoveri» .
TRA I PERSONAGGI di spicco per dedizione, ci fu Pasquale Rotondi, allora soprintendente delle Marche: imbastì un complesso piano di salvezza, facendo confluire da tutta Italia circa diecimila opere nei depositi di Sassocorvaro e Carpegna. Ma una volta finita la guerra, la rete di protezione non poté allentare le sue maglie. Si trattava ora di riportare a casa i beni trafugati e di impedire ulteriori razzie.
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