Caparrós, lingue e retorica del tango
Scrittori argentini L'autore conosciuto in Italia grazie ai suoi libri-inchiesta presenta un noir ispirato alla tradizione sudamericana, «Tutto per la patria», da Einaudi
Scrittori argentini L'autore conosciuto in Italia grazie ai suoi libri-inchiesta presenta un noir ispirato alla tradizione sudamericana, «Tutto per la patria», da Einaudi
Di fronte all’ennesimo autore colpito dall’epidemia del giallo, genere che cannibalizza ormai ogni altro filone narrativo, una certa dose di fastidio potrebbe essere legittima: ma con Tutto per la patria (traduzione di Sara Cavarero, Einaudi, pp. 266, € 19,50) Martín Caparrós ci mette tra le mani un libro abbastanza eterogeneo, non solo rispetto al giallo tradizionale o a più recenti sanguinari noir, ma anche nei confronti di quel filone di marca spiccatamente ispanica che lega Manuel Vázquez Montalbán a Leonardo Padura e ai loro innumerevoli epigoni. Pur strizzando l’occhio a quei modelli, Caparrós sembra infatti impegnarsi in uno scaltro divertimento narrativo, condotto con destrezza, sulla scia di altri autori argentini. Il duo Borges-Bioy Casares dei Problemi di Isidro Parodi, il Rodolfo Walsh delle Variazioni in rosso o il Juan Sasturain del Manuale dei perdenti avevano visitato, smontato e rimontato un genere che già negli anni Quaranta appariva esausto.
La scelta del protagonista rivela già, in parte, l’intento giocoso e irriverente di Caparrós. Andrés Rivarola, il personaggio che dovrebbe funzionare come investigatore, si rivela del tutto inadeguato al suo ruolo: autore mancato con il sogno di scrivere «veri» tanghi, è maldestro nel prendere decisioni e nel porre domande, mentre si rivela bravissimo nel collezionare gaffe e nel mettersi nei guai. Il suo agire provoca una inattesa catena di eventi che, a monte di una sua qualche precisa cognizione di causa, permette di approdare a una verità, come spesso accade nella storia argentina, non coincidente con quella ufficiale. Rivarola è attorniato da variopinti personaggi che si aggirano nell’afosa Buenos Aires dell’estate australe 1933, nel pieno del crollo della fiducia in un progresso ininterrotto. Figure reali e finzionali si incrociano proponendo il romanzo anche come divertito compendio della cultura rioplatense: il malavitoso Cuitiño controlla il Mattatoio di Buenos Aires, luogo cruciale dell’immaginario porteño; Bernabé Ferreyra, La Fiera, provinciale che diventa memorabile campione nel River Plate, scappa a Junín, nella Pampa Gringa, reiterando l’emblematica opposizione tra città e campagna, civiltà e barbarie. Nelle strade della rinnovata metropoli ci si imbatte nei raffinati autori del gruppo di Florida, il giovane Borges che si accompagna all’amico Bioy, ma anche negli scrittori dell’opposto gruppo di Boedo, come Roberto Arlt o González Tuñón, mentre la ragazza per la quale Rivarola perde la testa, ricorda le protagoniste della vita letteraria in quello scorcio di Novecento, da Norah Lange a Victoria Ocampo.
L’autore argentino è conosciuto in Europa soprattutto grazie a libri di cronaca di indiscusso valore come La fame o l’attualissimo Non è un cambio di stagione: è un punto di vista interno, dunque, quello che fa apparire, nel romanzo, i giornalisti sotto una luce sinistra, opportunisti o corrotti. La leggendaria redazione di «Crítica» diventa il centro di gravità di tutte le contraddizioni del paese, tanto simili a quelle dell’Argentina contemporanea: la povertà diffusa, la nascita di Villa Desocupación, la prima delle villas miserias, l’emergere di un populismo ambiguo che si chiamerà peronismo. Sulla città aleggiano due opposte idee di patria: il titolo esibisce quella dei movimenti di estrema destra, ispirati al fascismo e alla tradizione cattolica, che idealizzavano un passato rurale dominato dalle oligarchie latifondiste, ma nelle pagine del romanzo emerge l’idea di un paese che stava nascendo dalla cultura popolare, dal tango, dal calcio, con innumerevoli lingue e tradizioni di emigrati.
Tutto per la patria alterna alle acerbe prove di Andrés Rivarola, citazioni di tanghi famosi di Manzi e Discépolo. «A quell’eredità si torna ogni volta che bisogna esprimere la percezione del mondo come una lotta impari, il cui risultato è già deciso, l’accettazione del fallimento e la sofferenza che non ne comprende le cause», ha scritto Scrive Rosalba Campra a proposito della retorica del tango. Del suo mondo e delle periferie Caparrós riproduce anche la lingua (sfida terribile per la traduzione, non del tutto risolta) dominata con maestria, anche qui sulla scia di una lunga serie di autori (Arlt, Walsh, Puig, Abelardo Castillo, Fontanarrosa e un vasto eccetera). E sarà questa scintillante invenzione verbale ad accompagnare Andrés Rivarola nelle ulteriori avventure già annunciate dal finale.
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