Ma che fa la scrittrice Gabriella Ghermandi, ora si mette a cantare? La domanda, potenziale, è di quelle che non metteranno mai in difficoltà l’autrice di Regina di fiori e di perle, nata in Etiopia nel 1965 e residente in Italia dal 1979: «Nella terra in cui sono nata si racconta scrivendo, narrando e cantando – dice -, quindi il canto è solo una diversa forma di narrazione». In questo modo la definizione di “voce tra le più interessanti del panorama letterario contemporaneo”, altrimenti incipit di un comunicato stampa qualsiasi, nel suo caso diventa pura e semplice verità. Voce narrante tuttaltro che fuoricampo, ma disposta a farsi cassa di risonanza se le circostanze lo esigono. «La richiesta – racconta Ghermandi – mi è arrivata dai “Patrioti” che hanno combattuto contro l’esercito italiano, i pochi che sono ancora in vita: mi hanno detto “figliola, nessuno ricorda più il nostro sacrificio, fallo tu con i tuoi canti”. Così, dopo aver scritto un romanzo che tratta dell’occupazione italiana da un punto di vista etiopico e dopo averne tratto una narrazione con la quale ho girato il mondo, é arrivato anche il momento di cantare».

L’Atse Tewodros Project vede la luce grazie al crowdfunding dal basso e al sostegno del Circolo Gianni Bosio. Al netto delle difficoltà logistiche è un’idea quasi banale, solo che nessuno ci aveva pensato prima: musicisti etiopici e italiani intorno a un repertorio che non ha nulla dell’omertà ostinata a cui siamo abituati in Italia quando (non) si parla di Etiopia. Un modo brillante per parlarne, dunque, e sanare una ferita che è storica quanto personale: «È una vittoria sullo stato di guerra interiore che mi ha “governato” per anni – dice lei -. Essere mista, figlia di un italiano arrivato in Etiopia nel periodo dell’occupazione e di una etiope che l’occupazione l’ha subita, non è stato facile. Per anni ho sentito la necessità di raccontare dell’invasore. E seppure facendolo con un certo garbo, almeno credo, non riuscivo a liberarmi di questa necessità. Era quasi un’ossessione. Comprensibile, vista la mancanza di memoria storica dell’Italia, ma comunque un’ossessione. Poi, d’improvviso, ad Addis Abeba, la sera del primo concerto è arrivata la quiete: mi ritrovavo per la prima volta su un palco con artisti etiopici e italiani, tutti dalla stessa parte, a cantare e suonare i canti di chi è morto per la libertà del suo paese».

Mica poco. Se da un lato sgomenta il modo in cui l’Italia ha fin qui rimosso il suo passato coloniale con annesse condotte criminali, dall’altro desta meraviglia quanto sfibrati e incongrui siano i rapporti tra Italia ed Etiopia sotto il profilo culturale. Il cosiddetto ethio-jazz, nato al crepuscolo dell’ultimo imperatore d’Etiopia, Haile Selassie, è ormai un fenomeno globale, oltre che un esempio di come si possa interagire in modo creativo e non subalterno con musiche altrimenti egemoniche, senza smarrire il senso del proprio patrimonio tradizionale. Da noi, a parte sortite isolate, officiate nei circuiti imperscrutabili degli istituti di cultura, niente. Inimmaginabili musiche come quelle azzardate dal connubio tra i londinesi Heliocentrics e la leggenda vivente della musica etiopica moderna, Mulatu Astatqe, prima dell’Atse Tewodros Project. Dove la triade classica della musica etiopica – il flauto washint, la viola masenqo e la lira krar – tesse un dialogo paritario con basso, batteria e pianoforte, con la voce chiara e fresca di Gabriella Ghermandi nel ruolo di brillante mediatrice culturale. «Ci sono anche brani con scale tradizionali etiopi come la ambassel – aggiunge -, che tanto ha donato all’ethio-jazz».

Viene quindi in pace, la cantrice (in questo caso cantante + scrittrice) italo-etiopica, con le sue canzoni di guerra. Ad esempio Tew Belew, il cui testo, racconta, «viene da un canto che veniva intonato proprio contro l’esercito italiano». Tutto però nel nome di un imperatore, Atse Tewodros, che ha regnato in un periodo assai diverso da quello in cui si è consumata l’invasione fascista, precedente anche all’esemplare sconfitta subita dagli italiani nella Battaglia di Adua, il 1° marzo 1896. Teodoro II si è proclamato “Re dei Re” nel 1855 per riunificare il paese e modernizzarlo, ridimensionare il potere dei vari signorotti feudali, ridistribuire le terre e contrastare lo schiavismo. Tenne testa anche agli inglesi, che alla fine però marciarono su Meqdala e nel 1869 sbaragliarono il suo esercito, mentre l’imperatore preferiva togliersi la vita anziché arrendersi.

Ma cosa c’entra Tewodros con Mussolini? «Una volta iniziata l’avventura – spiega Gabriella – , i miei compagni di viaggio (compositori, parolieri, musicisti, patrioti etiopi) mi hanno chiesto a chi volessi intitolare il progetto, e io, senza neppure pensarci, ho indicato lui, l’Imperatore Tewodros. Non è stato il frutto di un pensiero razionale, lo avevo scelto perché era il protagonista della fiaba del vecchio narratore Abbaba Tesfaye, che aveva riempito i sabati mattina della mia infanzia. Un legame dolce e nostalgico con un tempo che non esisteva più, un paese che non esisteva più. Solo dopo ho realizzato che Tewodros aveva combattuto contro la regina Vittoria. Era stato insomma il primo ad avere ostacolato un tentativo di occupazione da parte di una potenza europea».

L’Atse Tewodros Project sbarca in Italia la prossima settimana. Cinque le date in programma: il 23 luglio a L’Aquila (Cantieri dell’Immaginario), il 25 a Alba (Centro Giovani H Zone, piazzale Beausoleil), 26 a Imola (Festival da Bach a Bartok, Palazzo Monsignani Sassatelli), 27 a Modena (Giardini Ducali), 30 luglio a Trento (Itinerari Folk). La formazione, oltre a Gabriella Ghermandi alla voce, vede Yohanns Afework al washint, Endres Hassan al masenqo, Michele Giuliani al pianoforte, Marcello Piarulli al basso, Fassika Hailu al krar, Cesare Pastanella batterie e congas, Misale Legesse batteria “tradizionale”.