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Canto estrangeiro, quando la vita è l’arte dell’incontro

Canto estrangeiro, quando la vita è l’arte dell’incontro

Note sparse I brani e la poesia di Luìs Elòi Stein in un disco del compositore e pianista Giovanni Guaccero

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 29 giugno 2022

Se «se la vita, amico, è l’arte dell’incontro», come nel lontano 1969 titolava un disco che dell’incontro fra Vinicius de Moraes, Sergio Endrigo e Giuseppe Ungaretti avrebbe nutrito più di una generazione, degli incontri brasiliani in terra italiana ancora si fa arte. Lo fa Canto Estrangeiro, un disco del compositore e pianista Giovanni Guaccero, uscito da poche settimane per l’etichetta Encore Music, che trasforma in canzone la poesia di Luìs Elòi Stein. Lo fa, come di dovere, con eleganza, grazia e misura, mettendo in fila 13 tracce di musica di quel «Brasile fuori dal Brasile», «dei brasiliani emigrati in Europa e degli europei che amando quella terra ne hanno in qualche forma adottato la cultura», come scrive lo stesso Guaccero nelle note del disco. A dare fiato a tutti loro, la voce cristallina di Tati Valle si veste della parola di Stein, poeta tardivo, che, in apertura del disco, si interroga sulla lingua diventata in terra straniera sostentamento e vita, insegnamento e scoperta, per diventare infine poesia, verso e semente.
Fa viaggiare i versi una scrittura musicale raffinatissima, ricca, sfaccettata, che attraversa choro, samba, mpb, restando lontanissima da qualsiasi eccesso, da qualsivoglia tentazione cartolinesca o rievocativa. Non è la nostalgia del Brasile bellissimo degli anni 60, non le notti romane dell’autoesilio doloroso di Chico Buarque, della stagione di Elza Soares e dei concerti al Sistina, e ancor meno la batida de samba da chiringuito de noantri. Semmai, è uno spazio naturale di sviluppo di quella cultura che da decenni ha attraversato e continua ad attraversare l’Oceano, e si è saputa muovere e rinnovare, viaggiando su gambe umane e artistiche, carne e parola, e soprattutto suono. Un gruppo ricco di musicisti, dal duo Choro de Rua di Marco Ruviaro e Barbara Piperno, al percussionista Carlos César Motta e tutti gli altri, a tratteggiare un affresco possibile di un patrimonio enorme, che se non finisce di ammaliare decine di ascoltatori, e immancabilmente musicisti, raramente riesce a diventare voce originale, e non riproposizione stanca e scolastica.

«CANTO ESTRANGEIRO», al contrario, fa centro laddove è ancora oggi difficile elaborare un canzoniere meticcio che si discosti dagli infiniti omaggi, e dallo scarso orecchio per una materia che per sua natura è mobile, e non può essere cristallizzata, pena l’irrilevanza del noioso e un po’ grottesco esercizio di stile. Perché se la vita è l’arte dell’incontro, la rosa – sia pure quella dello choro di Pixinguinha – saprà fiorire e crescere nel giardino di chi le presta cura e attenzione.

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