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Cannabis, legalizzazione e preconcetti

Fuoriluogo In attesa che la camera riprenda l’esame della legalizzazione della marijuana, e che il governo pubblichi la relazione annuale al parlamento, sarebbe opportuno nutrire il dibattito pubblico con quanti più studi scientifici possibili – preferibilmente con analisi indipendenti – per evitare certi inutili spauracchi

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 31 agosto 2016

Le dichiarazioni del presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione Raffaele Cantone a favore della legalizzazione della cannabis confermano che sulle droghe le opinioni sostituiscono i fatti. Cantone infatti, che in passato si era espresso contro ogni riforma, non solo non ha chiarito il perché del suo benvenuto ravvedimento, ma nel motivarlo ha chiarito che: 1) occorre non far incontrare giovani e organizzazioni criminali, 2) legalizzando si eviterebbe l’adulterazione dei prodotti vera causa della pericolosità delle sostanze. La legge che commentava esclude dalla legalizzazione i minorenni e non afferma che l’aggiunta di sostanze chimiche alla cannabis crei dipendenza.

Per tutta risposta, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, fautore dello stato etico per cui andrebbero proibite anche alcol e sigarette, ha tenuto a sottolineare che i proventi illegali delle “droghe leggere” sono quasi insignificanti rispetto al giro d’affari delle mafie. Cantone ha concordato. Nessuno dei due ha però specificato se si tratti del fatturato totale o solo di quello relativo agli stupefacenti. Per chiudere il cerchio in bellezza, i ministri della Salute e degli Affari regionali Lorenzin e Costa hanno affermato che là dove si è scelta la legalizzazione, i consumi sono aumentati nientepopodimeno che del 50%!

Si deve tornare ai periodi più bui del proibizionismo reaganian-craxiano, per registrare affermazioni di tale straordinaria superficialità che trova fondamento in un pregiudizio ideologico. Non esiste infatti alcuno studio che dimostri che un rilassamento delle sanzioni per il consumo individuale abbia prodotto un aumento in quelle percentuali – l’esperienza olandese del consumo tollerato semmai suggerisce, documentandolo, il perfetto contrario; né v’è stima che gli introiti attuali della cannabis siano quasi irrisori rispetto allo spropositato giro d’affari delle organizzazioni criminali. Tanto nel primo quanto nel secondo caso però, nessuno degli organismi nazionali, regionali o internazionali che s’interessano del “controllo delle droghe” ha mai sostenuto niente di simile. Anzi.

A luglio, la Direzione nazionale anti-Mafia, nel suo parere favorevole inviato al parlamento circa la legalizzazione della cannabis, ha segnalato che le risorse umane e finanziarie impiegate nel controllo del mercato della marijuana sono sproporzionate rispetto al lavoro necessario per il controllo del crimine organizzato, ma non affronta il problema dal punto di vista dei guadagni totali delle mafie.

Il «Rapporto mondiale sulle droghe» delle Nazioni dell’Onu del giugno scorso è semmai molto cauto nell’esprimere valutazioni circa l’impatto socio-economico della legalizzazione avvenuta in quattro Stati degli Usa e in Uruguay. Allo stesso tempo, ricordando che la cannabis è la sostanza illecita più diffusa al mondo, la ritiene la prima in quanto a entrate immediate per le narco-mafie.

In attesa che la camera riprenda l’esame della legalizzazione della cannabis, e che il governo pubblichi la relazione annuale al parlamento, sarebbe utile e opportuno nutrire il dibattito pubblico con quanti più studi scientifici possibili – preferibilmente con analisi indipendenti e frutto di processi di “revisione tra pari” anche con contributi internazionali – perché certi inutili spauracchi rendono solo ridicolo chi li agita.

Infine, non guasterebbe se il ministro della Giustizia Orlando, che ha detto di attendere con interesse il prosieguo dell’iter parlamentare, ribadisse pubblicamente quanto affermato alla sessione speciale dell’Onu sulle droghe e cioè che occorre che le evidenze scientifiche prendano il posto dell’ideologia.

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