Cangiantismi, malva e tenerezza: Allegretto
A Fabriano, Pinacote Civica, "Allegretto Nuzi e il ’300 a Fabriano", a cura di Andrea De Marchi e Matteo Mazzalupi Formatosi nel ricco «agone toscano», fra Simone Martini, i Lorenzetti e gli allievi di Giotto, il pittore tornò nella sua Fabriano, e la impreziosì nel secondo Trecento: lo presenta una mostra di raro rigore
A Fabriano, Pinacote Civica, "Allegretto Nuzi e il ’300 a Fabriano", a cura di Andrea De Marchi e Matteo Mazzalupi Formatosi nel ricco «agone toscano», fra Simone Martini, i Lorenzetti e gli allievi di Giotto, il pittore tornò nella sua Fabriano, e la impreziosì nel secondo Trecento: lo presenta una mostra di raro rigore
Ci sono mostre a cui piace vincere facile: costruite fin dai titoli, spesso proposti in formule più pubblicitarie che contenutistiche, su nomi di artisti noti o intorno a opere da manuale, ripongono in queste garanzie il loro successo, senza la volontà di maggiori ambizioni. E poi ci sono mostre che osano di più. Progettate per anni, con rigore e metodo critico, mirano a offrire nuove chiavi di lettura, a raccontare la storia di un passato dimenticato o – meglio – marginalizzato, attraverso i suoi protagonisti a torto ritenuti secondari, e a creare percorsi che dall’interno delle sale espositive si allargano al più vasto tessuto urbano, facendosi così strumenti utili alla comprensione dei contesti e alla valorizzazione complessiva dei territori nel presente. Tra queste va annoverata Allegretto Nuzi e il ’300 a Fabriano (Fabriano, Pinacoteca Civica, fino al 30 gennaio), a cura di Andrea De Marchi e Matteo Mazzalupi, che è stata concepita in pendant con la mostra eugubina Ottaviano Nelli e il ’400 a Gubbio (chiusa il 9 gennaio), curata dallo stesso De Marchi e da Maria Rita Silvestrelli. Esse hanno condiviso, oltre alla comunione d’intenti, anche l’orizzonte geografico: quelle terre richiamate dal sottotitolo evocativo Oro e colore nel cuore dell’Appennino, scelto a suggello di entrambe le esposizioni.
Come si addice a eventi di tale portata, la rassegna marchigiana, la prima monografica su Allegretto Nuzi, è stata inaugurata al termine di una lunga fase di preparazione fatta di studio stilistico, verifiche e nuove ricerche d’archivio, riletture cronologiche e iconografiche, conferme o proposte inedite sulla provenienza delle opere e considerazioni sulla loro originaria conformazione strutturale e fattura tecnica, grazie alle analisi appositamente condotte dalla restauratrice Lucia Biondi. La polifonia ben orchestrata delle discipline e competenze messa in campo è sortita nella formulazione di un quadro interpretativo densissimo e solido, in cui i dipinti esposti – una trentina, alcuni dei quali tornati in Italia per la prima volta, come la Crocifissione della chiesa delle Orsoline di Friburgo (Svizzera), o visibili dopo molto tempo – illustrano con coerenza la produzione su tavola di Allegretto e sodali. Ad essi va accompagnata la visita degli affreschi in loco, nelle chiese di Fabriano e dintorni, sulla scorta della guida fornita dall’Atlante posto a corredo del corposo catalogo (pp. 397, e 36,00, Silvana Editoriale). Un prezioso ausilio alla riscoperta dei luoghi al di fuori della sede espositiva, nell’ottica di una proposta di visita itinerante dell’intero centro storico.
A fronte di una vicenda biografica che lascerebbe intendere il contrario – essendo documentato a Fabriano dal 1347 alla morte nel 1373 – non fu un pittore provinciale, Allegretto. Egli ebbe l’opportunità di educarsi all’arte nel grande «agone toscano», a Siena e a Firenze, e con le suggestioni di Simone Martini, dei fratelli Lorenzetti e degli allievi di Giotto negli occhi, rientrò a casa pochi anni prima della metà del Trecento.
Da qui inizia il percorso espositivo, tematico e cronologico al contempo, in cui il Nuzi ci si presenta non già nella veste di pittore impegnato in importanti commissioni pubbliche, ma come attento ricettore delle esigenze spirituali di uomini e donne della sua epoca, desiderosi di possedere ancone per la devozione individuale: eccolo quindi autore di opere di piccolo formato (caso a sé è il dittico già Fornari, qui eccezionalmente riunito dopo lo smembramento d’inizio Novecento), raffinatissime nell’esecuzione e poetiche nella descrizione dei soggetti, perlopiù la Madonna col Bambino e l’Imago Pietatis.
Un preludio di rara tenerezza ai polittici della seconda sala, dove l’«oro e il colore» del maestro si esprimono al massimo grado in eleganze che la mostra consente di assaporare con calma, l’uno nell’inconfondibile tavolozza, dominata dal malva chiaro e da armonici cangiantismi, l’altro nella varietà delle decorazioni punzonate lungo le fasce perimetrali dei pannelli, sulle aureole dei santi in parata o nelle ornamentazioni delle loro vesti, popolate da un bestiario esotico di tartarughe e pappagalli o da carnosi fiori di loto. Di questo motivo, di origine cinese e aggiornato su tessuti coevi, Allegretto dà un saggio di alta qualità nel drappo d’onore dietro la Vergine nel trittico concesso in prestito dalla Pinacoteca Vaticana, in origine destinato alla chiesa fabrianese di San Domenico (alias Santa Lucia Novella).
E proprio dall’oro proviene un’importante novità dell’esposizione: il ricongiungimento, basato sull’identità della trama decorativa, e la conseguente retrodatazione, delle due tavole del Museo Diocesano con i santi Antonio abate, Giovanni evangelista, Giovanni Battista, Venanzio, alla Madonna col Bambino in trono di collezione Sabatucci, firmata e datata 1358, qui esposta per la prima volta dopo mezzo secolo di nascondimento, come sottolinea Mazzalupi in catalogo. Si tratta di un imprescindibile punto fermo nella cronologia del pittore.
Per di più, è stata ribadita con forza la provenienza di questo trittico grandioso dall’altar maggiore della cattedrale cittadina di San Venanzio, del cui assetto medievale – una tribuna con la particolarità delle cappelle radiali in numero pari, sei, dove ancora sopravvivono affreschi di Allegretto – oggi possiamo farci un’idea più chiara grazie alla ricostruzione ampiamente discussa in catalogo e allestita nella forma di un tour virtuale in mostra (consultabile anche all’indirizzo: www.didalxr.it/fabriano).
In una rassegna così ricca non poteva mancare poi il confronto con la scultura, vale a dire con il Maestro dei Magi di Fabriano, battezzato in questo modo a partire dal soggetto del gruppo ligneo intorno al quale si è riunito il suo corpus. Egli compare in mostra con i Tre Magi e San Giuseppe, silenti attori di un’Adorazione di cui doveva far parte anche una Vergine col Bambino, finita in collezione Cini a Monselice; un altro San Giuseppe e una Madonna col Bambino, gemella di quella veneta e qui presentata con il punto di vista originario, leggermente di tre quarti, per garantire la piena frontalità al Bambino; un’elegantissima Sant’Anatolia; un San Nicola di Mira e un San Giacomo Maggiore, esposti nel vicino Museo Diocesano. Non stupisce la loro presenza nel percorso di visita, poiché la policromia che le completa è stata ricondotta al Nuzi, o comunque all’universo delle stoffe da lui dipinte: Delpriori in catalogo sostiene inoltre con forza l’idea che il pittore possa essere stato anche autore dell’intaglio ligneo.
Una mostra imperdibile, quella di Fabriano. E il viaggio fino al cuore dell’Appennino per visitarla sarà largamente ricompensato.
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