Camus il solitario ma il solidale
Novecento francese Fra le tre recenti ri-traduzioni, spicca «Il diritto e il rovescio», raccolta di racconti 1937: Albert Camus vi anticipa le opere maggiori, «tutta l’assurda semplicità del mondo»
Novecento francese Fra le tre recenti ri-traduzioni, spicca «Il diritto e il rovescio», raccolta di racconti 1937: Albert Camus vi anticipa le opere maggiori, «tutta l’assurda semplicità del mondo»
«Vede, Jean, ho avuto delle critiche sui giornali; non mi posso lamentare; l’accoglienza che hanno riservato a queste pagine è stata insperatamente calorosa. Ma io leggevo in queste critiche le stesse frasi che ritornavano: amarezza, pessimismo ecc. Non hanno capito – e a volte mi dico che non mi sono fatto capire bene. Se non sono riuscito a comunicare tutto il mio gusto per la vita, tutta la voglia che ho di addentarla avidamente, se non sono riuscito a dire che la morte stessa e il dolore non facevano che esasperare in me questa ambizione di vivere, allora non ho detto nulla».
Così scriveva Albert Camus all’amico Jean de Maisonseul quando uscì nel 1937 in 385 esemplari il suo libro d’esordio, L’Envers et l’Endroit, grazie ad Edmond Charlot, giovane editore algerino. Divenuto introvabile, il testo venne ristampato nel 1958 da Gallimard, arricchito da una prefazione dell’autore. È ora riproposto da Bompiani nella nuova, intensa traduzione di Yasmina Melaouah con il titolo anastrofico Il diritto e il rovescio (pp. 80, € 9,00) che affianca le recenti versioni di L’esilio e il regno, a cura della medesima traduttrice (pp. 176, € 10,00) e del dramma Caligola (pp. 160, € 10,00), uno dei capisaldi della produzione teatrale reso in italiano da Camilla Diez. Il tutto concepito nel progetto di rivisitazione dell’opera di Camus inaugurato qualche tempo fa da Bompiani con l’allestimento di versioni meno datate dei suoi romanzi più conosciuti, cui va ad aggiungersi l’odierna ristampa di altri titoli basilari come La morte felice, Tutto il teatro e Riflessioni sulla pena di morte. Le traduzioni attuali, improntate ad un linguaggio più consono ai nostri tempi, esibiscono una maggior aderenza al testo, correggendo alcune imprecisioni che figuravano nelle lezioni precedenti, come nell’incipit dell’«Ironia», testo inaugurale del Diritto e il rovescio, dove la vecchia protagonista ha il «lato destro paralizzato», invece del «fianco sinistro» della versione di Sergio Morando datata 1959.
All’insegna del racconto la stagione creativa di Camus idealmente si apre e si chiude: L’esilio e il regno, pubblicato da Gallimard nel 1958, rappresenta l’ultimo titolo che l’autore licenziò prima di morire nel 1960 e, come tale, costituisce una sorta di contraltare alla raccolta Il diritto e il rovescio. Tra i due versanti si inscrive una tra le vicende intellettuali più significative del Novecento, di una dirittura morale e un rigore ammirevoli. Le nozioni di assurdo e di rivolta sembrano caratterizzare l’opera stessa di Camus, lungo un itinerario creativo felice e versatile che annovera autentici capolavori: da Lo straniero a Il mito di Sisifo, da La peste a L’uomo in rivolta, da La caduta ai titoli apparsi postumi. Libri scritti in uno stile sobrio, asciutto, misurato, che nulla concede sul piano virtuosistico e che si misura indifferentemente con prosa narrativa e saggio di argomento speculativo, testi critici e teatrali, articoli di taglio politico e annotazioni diaristiche (vedi rispettivamente le corrispondenze per «Combat» intitolate Questa lotta vi riguarda e i Taccuini, entrambi ora ristampati da Bompiani).
Nei cinque brevi racconti confluiti in Il diritto e il rovescio, scritti tra il 1935 e il 1936, è già presente in filigrana il timbro inconfondibile che contrassegnerà tutta la produzione di Camus, a cominciare dal succitato «L’ironia», in cui vengono messe in relazione, con l’esemplare semplicità di un trittico belliniano, tre vicende umane che hanno a che vedere con un mondo che ha il sapore agrodolce di un’arancia, «a metà strada fra la miseria e il sole», tipico della giovinezza algerina dell’autore. «Quanto a me, so che la mia fonte di ispirazione è nel Diritto e il rovescio, in quel mondo di povertà e di luce in cui ho vissuto a lungo e il cui ricordo tutt’ora mi preserva dai due pericoli contrapposti che minacciano ogni artista, il risentimento e la soddisfazione», avverte Camus nella prefazione.
Ed è curioso che, in questo scritto introduttivo composto vent’anni dopo, Camus definisca tali testi «saggi» anziché racconti. A prescindere dal difficile inquadramento in un determinato genere, si tratta di composizioni che si muovono fra narrazione e annotazione frammentaria, carichi di un retaggio scopertamente autobiografico: si pensi alla morte della nonna, alla figura della madre silenziosa in «Fra il sì e il no» o alla contrapposizione tra «l’angoscia di Praga» e la pace del paesaggio idillico vicentino descritti in «La morte nell’anima». Roger Grenier giustamente rileva come in questi spunti sia rintracciabile «la nozione di assurdo» a cominciare da «tutta l’assurda semplicità del mondo», espressa in «Fra il sì e il no», che sembra prefigurare alcune asserzioni di Meursault nello Straniero.
Ancora Roger Grenier, a proposito dell’Esilio e il regno, asserisce: «Il fatto che il titolo scelto non sia, come invece accade frequentemente, quello di uno dei racconti, mostra la volontà dell’autore di sottolineare la loro coerenza, la loro unità di ispirazione. In tutte queste storie, infatti, l’esilio – morale o geografico – svolge un ruolo importante. Se Camus ha aggiunto «e il regno», è stato forse per riprodurre l’effetto di simmetria e di antitesi del suo primo libro, Il diritto e il rovescio. In una certa misura, del resto, L’esilio e il regno è un ritorno alle origini. Un testo come «I muti» è un’evocazione del «quartiere povero» che ha fornito l’ispirazione del Diritto e il rovescio. Uno dei racconti più risolti di Camus, La caduta, doveva originariamente essere incluso in questa raccolta.
E, al di là delle indubbie corrispondenze (e divergenze) di ordine stilistico, l’ultimo libro di Camus costituisce un motivo di fedeltà alle tematiche della povertà, del pensiero meridiano, della vita assolata nelle terre d’Algeria contrapposta a quella, inautentica, della metropoli parigina. Spiccano, in un disegno musivo omogeneo e articolato che risente di certo engagement, «I muti», in cui il profondo dissidio instauratosi tra operai e padrone si stempera quando la figlia di quest’ultimo viene ricoverata a causa di un malore improvviso, e «L’ospite» dove la solidarietà si esplica attraverso gli scrupoli di coscienza di un maestro a cui viene affidato in custodia un arabo accusato di omicidio. Il finale di «Giona o l’artista al lavoro» evidenzia come il pittore, protagonista del racconto, dopo varie vicissitudini, scriva sulla «tela, completamente bianca una parola che si riusciva più o meno a decifrare, ma che non si capiva se andasse letta come solitario o solidale». Aggettivi che potrebbero definire lo stesso Camus, la sua tormentata vicenda espressiva, nonché la sua profonda avversione per le verità di comodo.
Il fatto che lo scrittore, nonostante certe analogie riguardanti soprattutto l’accanimento con il quale affrontava la questione dell’insensatezza di vivere e dell’assurdo, venisse tacciato di essere un esistenzialista non è che una delle tante generalizzazioni aventi a che fare con la sua opera. La concezione libertaria insita nei suoi testi non poteva che indirizzarlo verso posizioni etico-politiche quanto mai distanti rispetto a quelle di Sartre o Merleau-Ponty. Lui stesso precisò in un’intervista: «Non sono esistenzialista. Sartre e io siamo sempre stupiti nel vedere associati i nostri due nomi. Pensiamo persino di pubblicare un giorno o l’altro un annuncio sul giornale in cui affermeremo di non avere niente in comune e ci rifiuteremo di rispondere dei debiti che avremmo reciprocamente contratto. Perché, insomma, è uno scherzo. Sartre e io abbiamo pubblicato tutti i nostri libri, senza alcuna eccezione, prima di conoscerci. Quando ci siamo conosciuti, è stato per appurare che eravamo differenti. Sartre è esistenzialista, e il solo libro di idee che ho pubblicato, Il mito di Sisifo, era diretto proprio contro i filosofi chiamati esistenzialisti». A buon intenditor…
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