Europa

Campo minato per Pedro Sánchez

Spagna Si è chiuso ieri l'atteso Comitato federale del Psoe

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 31 gennaio 2016

L’atteso Comitato federale del Psoe si è chiuso ieri con un Pedro Sánchez indebolito ma non sconfitto. Il partito socialista sta vivendo settimane convulse in cui le sue varie anime si scontrano a porte chiuse e sotto i riflettori dei media. In teoria, il Comitato, composto da 300 persone, un quarto delle quali sono andaluse, aveva come unico punto all’ordine del giorno la discussione sulla data del prossimo congresso.

Ma ovviamente il tema al centro del dibattito è stata la formazione del governo, ancora in stallo a causa del gran rifiuto di Mariano Rajoy, che al capo dello stato ha detto di non essere in grado di formare una maggioranza, ma di non voler rinunciare a volerlo fare. In questo modo, in assenza di mandato, non è ancora stata fissata la data per la prima sessione di investitura, giorno dal quale inizia il conto alla rovescia dei sessanta giorni passati i quali, senza un governo, scatta automaticamente lo scioglimento delle camere.

Il «cittadino Filippo di Borbone», come lo chiama il leader di Izquierda Unida Alberto Garzón, è nel bel mezzo del suo secondo giro di consultazioni in cui, molto opportunamente, ha fissato l’appuntamento con Sánchez e con Rajoy per martedì, cioè dopo il Comitato federale di ieri.

La riunione è stata preceduta da una settimana di incontri con ciascuno dei baroni territoriali socialisti, la maggior parte dei quali vede come fumo negli occhi un possibile patto con Podemos e, ancora di più, qualsiasi tipo di collaborazione, anche solo parlamentare, con i partiti catalani o baschi favorevoli all’autodeterminazione, un concetto che i socialisti spagnoli rigettano in pieno. Fu proprio l’ex segretario Pérez Rubalcaba a dire nel 2013: «I socialisti non saranno mai a favore del diritto all’autodeterminazione». E il partito è rimasto su questa posizione, lo stesso Rubalcaba lo ha ribadito venerdì.

Lui è stato solo uno dei tanti socialisti che in settimana si sono affannati a mettere pubblicamente i bastoni fra le ruote di Sánchez: El País ha dedicato ben 4 pagine a un’intervista all’ex premier Felipe González, notoriamente uno dei più critici di un accordo a sinistra. E tutta la vecchia guardia socialista più conservatrice si è vista in una cena iper-mediatizzata per rendere noti i suoi maldipancia. Anche la potentissima giovane leader andalusa Susana Díaz non ha mai nascosto la sua posizione anti-Podemos, pur rimanendo più coperta negli ultimi giorni. Solo il presidente del governo valenziano e la presidente canaria, ambo al governo con Podemos, lanciavano segnali più conciliatori verso il partito viola.

Sánchez arrivava dunque alla riunione circondato da un campo minato. Con la proposta di alleanza di governo che Podemos che gli aveva gettato addosso senza preavviso, con la vecchia guardia sul piede di guerra, molti baroni locali pronti a farlo cadere, il Pp che non perde occasione per dire che è colpa dei socialisti se non c’è il governo e Ciudadanos, la cui astensione in un’eventuale investitura aiuterebbe molto Sánchez, che dice che se Podemos va al governo voteranno un «No rotondo», è già un successo che il segretario socialista sia sopravvissuto a questa tempesta. Ma ha dovuto ingoiare la decisione di anticipare il congresso a fine maggio e l’elezione per primaria del nuovo segretario all’8 maggio: cioè prima di eventuali nuove elezioni. Un’ipoteca bella e buona sulla sua testa.

Sánchez ha reagito facendo approvare che qualsiasi accordo di governo sarà votato dai quasi 200mila militanti socialisti (e ratificato da un successivo Comitato federale): una decisione totalmente inedita ma che permetterebbe a Sánchez di bypassare un eventuale veto interno. Se si dovesse tornare alle elezioni per l’incapacità dei socialisti a formare un governo, Sánchez lo sa bene, sia lui, sia il partito avrebbero molto da perdere.

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