Campagna elettorale alle porte, Macron lancia gli Stati generali della giustizia
Francia Non è solo più il Rassemblement national a declamare «legge e ordine», ma anche i Républicains difendono l’istituzione di pene automatiche, il raddoppio della pena se la vittima è nelle forze dell’ordine oppure la messa sotto controllo giudiziario all’uscita dal carcere dopo aver scontato la pena per le persone condannate per terrorismo
Francia Non è solo più il Rassemblement national a declamare «legge e ordine», ma anche i Républicains difendono l’istituzione di pene automatiche, il raddoppio della pena se la vittima è nelle forze dell’ordine oppure la messa sotto controllo giudiziario all’uscita dal carcere dopo aver scontato la pena per le persone condannate per terrorismo
Emmanuel Macron ha annunciato ieri che in autunno si apriranno in Francia gli «stati generali della giustizia», con la partecipazione di magistrati, giuristi, avvocati, notai, amministrazione penitenziaria, strutture di protezione della gioventù, anche polizia, con riunioni decentralizzate su tutto il territorio, organizzate su varie settimane, con la presenza di cittadini non legati alle professioni giuridiche.
Inoltre, l’Eliseo ha precisato che il ministro della Giustizia ogni anno dovrà rendere conto di fronte al Parlamento della politica penale portata avanti dal governo. L’Eliseo ha ricordato il «profondo attaccamento» alla «separazione dei poteri» e al «principio dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria, di cui è garante» il presidente.
La domanda di una discussione e di un chiarimento sul ruolo della giustizia è diventata sempre più forte negli ultimi tempi da parte degli addetti ai lavori, preoccupati per le molte polemiche che si sono susseguite. C’è stata l’emozione suscitata dalla decisione di non giudicare in un processo l’assassinio di Sarah Halimi, un crimine antisemita, perché l’autore era in preda al delirio dovuto all’assunzione di stupefacenti, quindi ritenuto «irresponsabile».
C’è stata la manifestazione dei poliziotti il 19 maggio di fronte all’Assemblea nazionale, dove dei sindacalisti hanno gridato: «il problema della polizia è la giustizia» (e il ministro degli Interi, Gérald Darmanin, è andato in piazza accanto ai poliziotti, dove c’erano anche i leader politici di tutti i partiti, salvo Jean-Luc Mélenchon della France Insoumise, mentre nel Ps c’è stata una ribellione contro la presenza del segretario Olivier Faure a una manifestazione giudicata «agghiacciante» dalla candidata alle regionali dell’Ile-de-France, Audrey Pulvar). Il ministro della Giustizia, Eric Dupont-Moretti (famoso avvocato penalista) ha cercato di calmare il gioco, affermando che «non bisogna opporre polizia e giustizia».
Ma non è solo più il Rassemblement national a declamare «legge e ordine», ma anche i Républicains difendono l’istituzione di pene automatiche, il raddoppio della pena se la vittima è nelle forze dell’ordine oppure la messa sotto controllo giudiziario all’uscita dal carcere dopo aver scontato la pena per le persone condannate per terrorismo. Questa misura, del resto, è contenuta nella legge sulla «prevenzione di atti di terrorismo» e di riforma dei servizi, in discussione all’Assemblea, l’ennesimo testo per combattere il terrorismo, che fa un nuovo passo per far rientrare le norme delle leggi di emergenza nel diritto comune.
Per cercare di riportare la calma e probabilmente anche per definire una politica sulla giustizia in vista della prossima campagna presidenziale del 2022 che non sia schiacciata sull’ossessione della sicurezza e sulla repressione, Macron convoca gli stati generali, accogliendo la richiesta della prima presidente della Corte di Cassazione, Chantal Arens, e del Procuratore generale, François Molins, uno dei più alti magistrati di Francia. È anche un tentativo di rispondere alla richiesta di sicurezza, considerata oggi dai francesi la prima preoccupazione.
La convocazione degli stati generali è stata accolta favorevolmente dai sindacati della magistratura, dagli avvocati, dall’amministrazione penitenziaria. Ma gli avvocati avvertono: «non devono diventare un luogo di pugilato politico o elettoralistico».
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