Otto ore di sciopero oggi nella Sanità (tranne i servizi essenziali) per i lavoratori che aderiscono a Cgil e Uil: «La legge di bilancio riduce il valore del Fondo sanitario nazionale, taglia le pensioni dei professionisti e non finanzia le assunzioni di personale, necessario per garantire i servizi ai cittadini. È una manovra iniqua e pericolosa». Il 5 dicembre manifestano i sindacati Anaoo Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up. E poi ancora proteste il 18 dicembre da Aaroi-Emac, Fassid e Fvm. In piazza divisi ma d’accordo nel bocciare la legge di bilancio.

Il sottosegretario alla Salute Gemmato, fedelissimo di Meloni, ha provato a mettere una pezza: «Il ministro Schillaci ha avuto un colloquio con Giorgetti, c’è una presa in carico del problema. Ci sarà un incontro anche con il ministro Calderone per minimizzare le storture che l’applicazione della legge può avere in termini di riduzione del numero di medici e sanitari». Critiche sono arrivate da Bankitalia, Ufficio parlamentare di bilancio e Corte dei Conti rispetto al capitolo Sanità in manovra.

Quali sono le storture lo spiegano Anaao e Cimo: «Le risorse sono insufficienti, le nostre pensioni vengono tagliate fino al 25%. Leggiamo che il governo sarebbe intenzionato a rimandare al 2027 gli effetti della norma: non è la soluzione perché incentiverà, nei prossimi tre anni, la fuga del personale dalla sanità pubblica. L’ennesimo mancato intervento contro gli evasori fiscali li lascia intascare ogni anno 90 miliardi destinati allo Stato mentre godono dei servizi pubblici. Aumenta invece il finanziamento della sanità privata per l’abbattimento delle liste d’attesa senza prevedere né un meccanismo di monitoraggio sull’utilizzo delle risorse né l’obbligo del rispetto di diritti essenziali dei lavoratori da parte dei datori di lavoro».

Il clima è incandescente, anche il ministro della Pa Zangrillo ha provato a gettare acqua sul fuoco: «Ci sarà un intervento correttivo». Il titolare del dicastero Salute, Schillaci, ha minimizzato: «Rivedrò oggi Giorgetti insieme a Calderone, c’è la volontà di risolvere le criticità legate alle pensioni. Impensabile che in un momento come questo operatori lascino il Servizio sanitario nazionale, potrebbe essere il tassello finale di un disastro che non vogliamo che avvenga». Il ministro ieri ha ripetuto il rosario di interventi che, secondo il governo, sarebbero risolutivi: «Per le liste d’attesa abbiamo messo insieme in un unico Cup regionale tutta l’offerta del pubblico e del privato convenzionato. Abbiamo messo fondi per incentivare i medici che vogliono operare per ridurre le liste di attesa. Il governo ha posto attenzione alla salute, le cifre stanziate superano quelle appostate in precedenza».

È lo slogan che ripete anche Salvini: «Il governo mette il massimo di spesa pubblica sugli ospedali». È così? Spiega Nino Cartabellotta, presidente Gimbe: «Se in termini assoluti è evidente l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale nel 2024, non si intravede per la sanità alcun progressivo rilancio del finanziamento pubblico. Infatti, gli incrementi previsti nel 2025 (+1%) e nel 2026 (+0,15%) sono talmente esigui che non riusciranno nemmeno a compensare l’inflazione né l’aumento dei prezzi di beni e servizi. La manovra conferma le stime della Nadef 2023 con il crollo del rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2023 al 6,1% del 2026».

Riguardo al Fabbisogno sanitario nazionale, l’incremento è di 3 miliardi per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 per il 2026: «Le misure previste sono ‘a valere sul fabbisogno sanitario nazionale’ e non prevedono risorse aggiuntive». La manovra inserisce per le nuove assunzioni 250 milioni al 2025 e 350 milioni a decorrere dal 2026 ma non fa cenno all’abolizione del tetto di spesa sul personale. «La riforma del sistema pensionistico entra a gamba tesa sul personale sanitario – spiega Gimbe – che, già depauperato e demotivato, rischia di chiedere il pensionamento per non incappare nella tagliola, provocando un’emorragia di medici e infermieri che metterebbe definitivamente in ginocchio il Ssn».

Il settore più esposto è l’emergenza. Simeu (Società italiana della medicina di emergenza urgenza) ieri a Roma ha fatto il punto, Fabio De Iaco: «I camici bianchi in Pronto soccorso sono pochi, usurati e scelgono spesso di lasciare. Mancano circa 4mila medici, ovvero il 40%. Nell’ultimo anno abbiamo avuto l’uscita di un migliaio di colleghi e l’entrata di circa 500. Nel 54% delle aziende sanitarie ci sono contratti atipici, nel 48% lavorano medici non d’emergenza pagati a prestazione. Le coop dei gettonisti sono nel 28% dei Ps: 47% al Nord, 19% al Centro e 10% al Sud. In molte aziende non sono stati fatti i bandi per accettare gli specializzandi. Ed è grave».