Cultura

Camere visionarie per la volta celeste

Camere visionarie per la volta celesteIl Roden Crater ( esterno e interno) in Arizona, al centro del fund raising di 200 milioni di dollari per la sua messa in opera definitiva

LAND ART Il «Roden Crater» di James Turrell, nel deserto dell’Arizona. In un vulcano estinto da 400mila anni, si scavano labirinti e stanze sotterranee per osservare gli astri

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 13 febbraio 2019

Come fossero un museo sotto il cielo stellato dell’ovest, i deserti del Great Basin americano racchiudono una mostra permanente e nascosta. Nelle pianure riarse dell’interno californiano, in Arizona, New Mexico e in Nevada, incastonate in canyon e nel piatto perfetto dei laghi salati, si celano – per chi li cerca – reperti di land art: fenditure, cumuli, enigmatiche strutture simboliche imparentate con i petroglifi che nel Mojave hanno lasciato gli antenati delle popolazioni native di questi luoghi. I Sun Tunnels, ad esempio, che Nancy Holt ha piazzato su un remoto altipiano dello Utah, sezioni di tubature in cemento disposti in modo da allinearsi e «catturare» il sole nei solstizi. Proprio come faceva il Sun Dagger di Chaco canyon – macigni posti dagli antichi Anasazi in modo da far filtrare ogni solstizio, attraverso una fessura, un pugnale di luce su una spirale incisa sulla parete di pietra. È una comunione con gli eventi astrali ripresa anche da Charles Ross nel suo Star Axis una sorta di mastodontico osservatorio astronomico a occhio nudo, scolpito nella roccia del New Mexico.

ANCHE NELL’ARIZONA settentrionale sta prendendo forma una struttura pensata per avvicinare cielo e terra. Il Roden Crater è opera di James Turrell che da oltre quarant’anni sta creando quella che definisce una «rovina prefabbricata». Nel cono di un vulcano estinto da 400mila anni, dal diametro di cinque chilometri, Turrell sta scavando una rete di gallerie, tunnel e camere sotterranee con sbocchi verso al superficie da cui è possibile osservare la volta celeste.
Il progetto rappresenterà il culmine dell’opera dell’artista che, sin dall’inizio, ha ruotato intorno alla percezione e alla dimensione cromatica e spaziale della luce. «Siamo abituati alla luce come strumento artistico per illuminare gli oggetti – sostiene Turrell – A me interessa sottolineare la dimensione ’materica’ della luce stessa. Non è un elemento che possiamo plasmare come l’argilla o scolpire come il legno e la pietra. È più simile al suono uno strumento che può essere modulato realizzando appositi strumenti».

QUELLI COSTRUITI da Turrell comprendono le aperture in lastre metalliche attraverso le quali agli esordi proiettò le Cross Corner projections, fasce di luce progettate per dare l’illusione di solidi luminosi. Furono, negli anni Sessanta, l’avvisaglia di un vita artistica spesa a sondare percezione e chimere legate a luce e colore e la partecipazione attiva in questo processo da parte dell’osservatore, come ha spiegato lo stesso artista in un intervento per il museo d’arte moderna di Los Angeles (Lacma): «Tendiamo a pensare che le cose siano fisse e che noi siamo semplici osservatori dei fenomeni del mondo anziché partecipi di ciò che contempliamo. Siamo invece parte integrante di ciò che vediamo. Ed è questo che cerco di ricordare sempre allo spettatore».
Per Turrell, che ha studiato matematica e psicologia della percezione all’università di Pomona, è una concezione ispirata alle teorie Gestalt e prima ancora alla disciplina mistica della famiglia quacchera in cui è cresciuto. Lui stesso, praticante di questa declinazione pacifista del calvinismo, ne assorbe soprattutto l’ascetismo dell’estetica lineare e rigorosa. Tanto che sarà anche costruttore di «prayer houses», case di culto dell’ordine dove luce e semplicità sono la rappresentazione architettonica di rigore spirituale.
Dopo gli studi, si è avvicinato al movimento Light and Space di artisti astrattisti e minimalisti attivi nella California del sud anni Sessanta e ha continuato a definire il proprio percorso come «geometra» della luce.

L’IMPETO DEI SUOI PROGETTI si esprime sempre più nella creazione di ambienti definiti dall’intervento intenzionale sulla percezione dello spazio al quale lo spettatore accede. È un lavoro imparentato con protocolli sperimentali come i cosiddetti ganzfeld o «campi totali», in cui la percezione da parte di un soggetto viene modificata dalla deprivazione sensoriale. Nella versione di Turell prendono la forma di ambienti immersivi detti perceptual cells. È il caso di Light Reignfall una sfera di metallo in cui accede un singolo spettatore alla volta. L’«utente» entra nella sfera come in una specie di camera iperbarica, steso su una lettiga, indossando cuffie audio e viene sottoposto per undici minuti a un programma di stroboscopie luminose e colorate, un «campo di illuminazione totale» in cui diventa impossibile distinguere forme o contorni sino a ottenere una percezione «pura» della luce.

LA SATURAZIONE LUMINOSA intende rivelare la potenza «multidimensionale della luce nella sua interazione con la complessità dell’occhio umano». La stessa idea di astrazione sottende gli skyspaces in cui Turrell affronta uno spazio che è al centro di tutta la sua opera: il cielo. «Pensiamo che il cielo sia blu – dichiara l’artista – Dimentichiamo invece che siamo noi ad accordargli questo colore, e se cambiamo le circostanze del contesto visivo, allora è possibile mutare l’impressione cromatica».
Da sempre interessato all’illusione, Turrell è noto per il quadro inesistente esposto al museo d’arte di Indianapolis. Acton consiste di una stanza in cui appare appesa al muro una tela. Ma il quadro è, in realtà, un foro rettangolare nella parete la cui illusione materica è data dal controllo dell’illuminazione. Gli agenti della sicurezza hanno istruzione di invitare gli astanti a «toccare la tela» per spezzare l’incantesimo. (È stato perfino querelato da una visitatrice caduta per essersi appoggiata a un muro inesistente, ndr).

ALLO STESSO MODO, i suoi skyscapes sono «cieli in una stanza» in cui un quadrato di cielo viene incorniciato da un apertura nel soffitto, sono (nella descrizione del New York Times) «camere per la visione celeste progettate per creare l’illusione magica che il cielo sia a portata di mano – teso come una tela sull’apertura nel soffitto». Roden Crater mette assieme tutte queste esperienze in un labirinto di cunicoli e sale di osservazione celeste in cui luce e colore sono attentamente modulati.
Sono molte le opere di land art sparse per il deserto americano. Robert Smithson vi ha lasciato la Spiral Jetty, il molo avvolto su ste stesso e incrostato di salsedine che si allunga nel Grande Lago Salato. Michael Heizer sta lavorando da trenta anni a City, una sorta di acropoli emersa dalle sabbie del centro spopolato del Nevada, che rammenta una città azteca.

ANCHE IL CRATERE di Turrell utilizza la morfologia geologica di questo territorio arido, ma vi interviene in modo diverso da Heizer o Smithson. «Si potrebbe affermare che sono un costruttore di cumuli, ma non sono le forme terrestri a contare. Costruisco strutture che accolgono oggetti celesti come il sole e la luna nello spazio che tutti abitiamo. Costruisco eventi che plasmano o contengono la luce».
Dopo decenni in cui l’accesso è stato ristretto agli occasionali mecenati o curatori (o all’incursione non autorizzata da parte di appassionati e ammiratori), la fine della costruzione è prevista ora entro cinque anni, grazie anche all’aiuto dell’università dell’Arizona che parteciperà a un fund raising dei duecento milioni di dollari necessari al completamento.
«Quel che desidero è portare eventi e oggetti astronomici nell’intimità del nostro spazio vissuto – conclude Turrell – «Vorrei tentare di far scendere sulla terra la musica delle sfere, concentrare su di esse l’attenzione così che dal caos possano emergere le emozioni. Un modo per vedere la luce che di solito passa inosservata. A chi appartiene? A voi che guardate. Non per essere trattenuta, ma conosciuta».

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