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«Cambiare la riforma, così rischia di uccidere le imprese editoriali»

«Cambiare la riforma, così rischia di uccidere  le imprese editoriali»

Editoria Presentati quattro emendamenti al testo in discussione in commissione Affari costituzionali

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 25 maggio 2016

Negli ultimi 17 mesi 30 giornali hanno chiuso i battenti. Uno ogni 17 giorni. Se si calcola anche l’anno e mezzo precedente il numero di aziende editoriali che non ce l’hanno fatta sale fino a 71. Si è trattato spesso di testate piccole, a tiratura locale. Sempre, però, voci libere che non potranno più dire la loro e la cui chiusura ha determinato la perdita di centinaia di posti di lavoro tra giornalisti e poligrafici Un danno per l’occupazione, ma anche per la libertà di espressione messa in pericolo, nel silenzio generale, dalla scomparsa di una miriade di piccoli e medi giornali. E forse non è un caso.
La morìa di testate rischia infatti di non fermarsi e di non coinvolgere solo le imprese più piccole. La riforma dell’editoria approvata il 2 marzo scorso dalla Camera e attualmente all’esame della commissione Affari Costituzionali del Senato, anziché aiutare – mettendo magari paletti più rigidi alle grandi fusioni editoriali – penalizza ancora di più le cooperative di giornalisti e le altre realtà editoriali non profit. A denunciarlo è stata ieri l’Associazione cooperative editoriali e di comunicazione in una conferenza stampa a palazzo Madama. «Questi giornali rappresentano un grande pezzo di democrazia, e sarebbe davvero sgradevole se fosse proprio questo governo a farlo sparire», ha detto l’ex senatore Pd, oggi esponente di Articolo 21, Vincenzo Vita.
La riforma è stata messa a punto dal governo nel tentativo di mettere ordine in un settore in cui nel passato non sono mancati scandali, ma rischia di compromettere pesantemente la situazione di molte imprese, tra le quali anche il manifesto, Foglio e Avvenire. «Nella normativa sono presenti gravi penalizzazioni per le testate a diffusione nazionale», ha spiegato infatti il presidente dell’Alleanza, Roberto Calari. «E’ previsto il superamento della distinzione tra testata locale e nazionale, malgrado sia evidente a tutti che una testata nazionale abbia costi di carta, stampa e distribuzione incomparabili rispetto a quelle locali».
Di fatto, è stato stabilito che per poter avere accesso al contributo una testata debba avere un rapporto tra copie distribuite e copie vendute non inferiore al 30%. «Inspiegabilmente – ha proseguito Calari – si è diminuita la percentuale vendita/distribuzione per i giornali locali (oggi al 35%), mentre si è aumentata quella per i giornali nazionali (oggi al 25%)». Se la norma non verrà modificata la conseguenza sarà che alcuni giornali per continuare a vivere saranno costretti a tagliare intere regioni dalla propria distribuzione, cosa che avverrà prevalentemente al Sud.
Ma non è tutto. A oggi, quando mancano ormai solo pochi giorni alla chiusura dei bilanci aziendali, resta forte anche l’incertezza sull’entità del fondo per l’editoria e sulle modalità di accesso. Finora, infatti, sono presenti nel fondo appena 18 milioni di euro a fronte di un fabbisogno minimo di 80. La legge prevede inoltre che le imprese possano ricevere un contributo massimo pari al 50% dei ricavi, e con anticipi che non possano superare il 30% del dovuto. L’Associazione chiede quindi di modificare attraverso pochi emendamenti le norme più dannose per le imprese editoriali. In particolare di far scendere al 20% il rapporto venduto/distribuito per quanto riguarda le testate nazionali; di innalzare dal 30 al 50% l’importo della prima rata del contributo e dal 50 al 70% il limite massimo del contributo in base ai ricavi.
A favore degli emendamenti si sono pronunciati sia il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, che molti dei senatori presenti, tra i quali Loredana De Petris (Sel) e Anna Maria Bernini (Forza Italia). Possibilista, pur senza sbilanciarsi, anche il relatore della legge, il dem Roberto Cociancich. «Potremmo emendare la normativa – ha detto – ma questo significherebbe farla tornare alla Camera e perdere tempo mentre la richiesta è che si faccia presto per garantire risorse alle imprese». Da oggi la discussione in Commissione entra nel vivo.

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