Visioni

Cambiare gli occhiali con cui si guarda il mondo

Cambiare gli occhiali con cui si guarda il mondoUna scena dalla web serie «La violenza contro le donne? Te la faccio vedere io»

Habemus Corpus Il germe della violenza assomiglia a una pianta infestante. Attecchisce sull’indifferenza, si espande grazie all’inconsapevolezza, cresce nella distrazione. Forti di questa convinzione, corroborata da 30 anni di esperienza e 15 […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 7 marzo 2017

Il germe della violenza assomiglia a una pianta infestante. Attecchisce sull’indifferenza, si espande grazie all’inconsapevolezza, cresce nella distrazione. Forti di questa convinzione, corroborata da 30 anni di esperienza e 15 di lavoro nelle scuole, la Casa delle donne maltrattate di Milano ha iniziato un progetto rivolto agli studenti di Milano e provincia che usa un linguaggio a cui i ragazzi sono sensibili, una web serie. Il titolo è: La violenza contro le donne? Te la faccio vedere io.

 

 

Sono tre puntate realizzate con il contributo della Fondazione Cariplo, dirette da Brunella Andreoli e interpretate, a titolo gratuito, da Matilde Gioli, Nicola Conversa e gli youtuber Nirikiop, con un cameo di Giovanni Storti. La web serie, visibile sui social network da giugno, fino alla fine dell’anno scolastico verrà mostrata e discussa in varie classi che poi dovranno realizzare la quarta puntata. La migliore sarà scelta per il web.
Il racconto funziona come uno specchio perché riproduce situazioni, comportamenti e linguaggi diffusi che contengono il germe della violenza. Vedere riprodotto sullo schermo ciò che si dice ed esprime nel quotidiano, e poi discuterlo con compagni e insegnanti, apre il varco a riflessioni, spinge al confronto e all’autocritica, crea consapevolezze.

 

 

Un pugno o uno schiaffo dato per gelosia o insofferenza, giudizi come «È una puttana» espressi verso i comportamenti liberi di una donna, il senso di possesso in una relazione, la diffusione sui social network di immagini intime sono fenomeni più diffusi di quanto si pensi fra giovani e adolescenti. Come è stato possibile, nonostante il femminismo e le molte conquiste femminili fatte, essere ancora a questo punto? Fra le tante risposte possibili, ne azzardo una.

 
Noi siamo quello che vediamo, sentiamo e respiriamo. Cresciamo copiando, impariamo imitando. Ciò che assorbiamo da piccoli resta impresso nel nostro carattere come un marchio, influenza pensieri, desideri, linguaggio, comportamenti e immaginario. Non c’è bisogno che fra due genitori ci sia una relazione platealmente malata per instillare in un figlio il germe della discriminazione. Basta un commento svilente, una battuta sferzante per far passare l’idea che il maschio può permettersi di dire e fare certe cose. Basta persino una battuta, a volte, per trasmettere l’idea di come deve essere un «Vero uomo». Molte di noi ci sono passate e proprio perché anno visto le proprie madri soffrire, spesso in silenzio, hanno deciso che nella propria vita mai e poi mai avrebbero subito certe umiliazioni. Molte di noi sono state salvate dalla scuola, dai libri, dallo studio che ha mostrato vie di fuga e di ribellione possibili.

 

Sembra un paradosso, ma in un certo senso è più facile dire basta se la prevaricazione è pesante, perché quando la gabbia ha sbarre molto evidenti, il desiderio di una vita diversa diventa pressante, ineludibile. Se invece la prigione è fatta di fili sottili, di battute e giudizi generici, di gusti e apprezzamenti striscianti, non ci si trova più dietro a un cancello chiuso a chiave, ma avvolti in una ragnatela invisibile che imprigiona e avvelena a piccole dosi.
Non è facile uscire da un simile circolo vizioso perché prima di tutto bisogna vederlo, per vederlo serve riconoscerlo, per riconoscerlo bisogna cambiare il punto di vista o gli occhiali con cui si guarda il mondo. «Prima di discuterne in classe – mi ha detto Vladi, uno degli studenti del liceo Vttorio Veneto che sta seguendo la web serie – mi accorgevo che certe battute e comportamenti mi disturbavano, ma non capivo perché. Ora li vedo e so riconoscerli».
mariangela.mianiti@gmail.com

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