Quando si diffonde un nuovo mezzo di comunicazione, tutti i linguaggi preesistenti sono portati a ridefinire il proprio ruolo e, per così dire, la propria grammatica. La nozione di ‘rimediazione’ – elaborata nel 1999 da David J. Bolter e Richard Grusin – può essere descritta sinteticamente in questi termini. Un caso emblematico (e noto) è offerto dalla fotografia, la cui nascita obbligò la pittura ad abbandonare alcune delle sue funzioni tradizionali per acquisirne altre. Come s’intuisce, la storia degli strumenti comunicativi e delle forme di rappresentazione è costantemente esposta, per sua natura, a processi di rimediazione; e tuttavia non v’è dubbio che nell’età contemporanea, e nell’epoca digitale soprattutto, essi si replichino con una frequenza che non ha termini di paragone nei secoli precedenti.
Eleonora Lima sceglie oggi questa lente per leggere l’opera di Italo Calvino e Paolo Volponi come un esempio del complesso rapporto che la letteratura stabilì, tra gli anni cinquanta e ottanta del Novecento, con i cambiamenti tecnologici in corso e i nuovi linguaggi che ne derivarono. Il debito concettuale con il lavoro di Bolter e Grusin è dichiarato dall’autrice già nel sottotitolo del suo libro: Le tecnologie dell’informazione nella scrittura di Italo Calvino e Paolo Volponi Tre storie di rimediazione (Florence University Press, pp. 253, € 36,00, ma disponibile gratuitamente in formato elettronico sulla piattaforma www.fupress.com).
L’equilibrio tra l’approccio teorico tipico della comparatistica e una non comune finezza nell’analisi dei testi è la qualità più evidente del lavoro di Lima, oggi attiva come ricercatrice ‘Marie Skłodowska-Curie’ al Trinity College di Dublino, ma, al pari di molte studiose precarie della sua generazione, abituata a muoversi agilmente tra scuole diverse: formatasi in filologia moderna all’Università di Firenze, Lima ha conseguito il dottorato in letteratura italiana e media studies a Madison (Wisconsin), per poi proseguire le sue ricerche sulla narrativa e i nuovi mezzi di comunicazione presso l’Università di Toronto. Può apparire sorprendente, e Lima ne è consapevole, la scelta di accostare i nomi di Calvino e Volponi in merito alla riflessione sulle innovazioni tecnologiche. È del resto consolidata, da un lato, l’immagine di Calvino come di uno scrittore «entusiasticamente aperto» alla contaminazione dei linguaggi, e dall’altro quella di un Volponi tendenzialmente ostile al progresso tecnologico, percepito «come strumento dell’artificiale». Lo studio di Lima non vuole capovolgere il cliché critico; intende piuttosto mostrarne alcune implicazioni inattese.
Come anticipato nel sottotitolo del volume, le ‘storie di rimediazione’ prese in esame sono tre. Ognuna di esse riguarda un argomento di ampio respiro: il conflitto tra natura e tecnologia, e il problema del posizionamento della letteratura tra questi due poli; l’influsso esercitato dagli studi di cibernetica sulla scrittura letteraria; il peso politico della rappresentazione televisiva. Si direbbe che sia anzitutto Volponi a giovarsi, in questo quadro, del confronto con Calvino: tra gli esiti più significativi dell’indagine di Eleonora Lima, risalta infatti la ricostruzione della traiettoria coerente benché non sempre lineare lungo cui procede, nel corso degli anni, la reazione di Volponi alle diverse manifestazioni della rivoluzione tecnologica.
La lettura in parallelo del racconto calviniano Luna e Gnac (1957) e del dialogo tra la luna e un calcolatore contenuto nelle Mosche del capitale (1989) offre un primo saggio, già molto nitido, delle tensioni che percorrono i testi di Volponi. Se in Calvino l’opposizione tra la luna e l’insegna al neon non si risolve con l’adesione all’una o all’altra delle parti in conflitto, poiché entrambe si prestano in egual misura a essere risemantizzate in termini poetici, in Volponi il mezzo informatico è rigettato come anti-letterario non in quanto tale, ma per il suo asservimento alle ragioni del capitalismo; ed è su questa acquisizione che si fonda, in ultima istanza, l’auspicio di un’alleanza tra la luna/natura e la letteratura. La lingua della tecnologia non è dunque oggetto di un rifiuto aprioristico: a qualificarla in termini negativi è il contesto ideologico che ne orienta le funzioni, non la sua essenza. A riscontro, era proprio il linguaggio della cibernetica a nutrire, nella Macchina mondiale (1965), il bizzarro – ma non banalmente delirante – progetto di rifondazione del mondo elaborato da Anteo, quasi un doppio moderno del Menocchio di Carlo Ginzburg: l’uomo-macchina si offre nel romanzo come il modello scientifico su cui costruire un’etica finalmente egualitaria.
Le contrapposizioni e le occasionali convergenze tra i due scrittori colte da Eleonora Lima disegnano una trama assai più ricca di quella qui brevemente esposta. Un elemento, ad ogni modo, affiora con sistematicità, fino ad assumere il peso di una conclusione: nell’ordine del discorso letterario, rimediazione e riflessione poetica non sono distinguibili.