Calpestate la terra con leggerezza
Scaffale L’ultimo libro del giornalista scrittore e inviato di guerra Eric Salerno, «Orizzonti perduti, orizzonti ritrovati», per Il Saggiatore
Scaffale L’ultimo libro del giornalista scrittore e inviato di guerra Eric Salerno, «Orizzonti perduti, orizzonti ritrovati», per Il Saggiatore
Se il giornalismo rimane anche un mestiere che si «ruba» Eric Salerno ci invita a farlo pescando nei suoi ricordi di viaggio rivisti e aggiornati con l’attualità più stretta, una belva feroce e incalzante, tra guerre e massacri, che interpreta e quasi «addomestica» per farla comprendere al meglio. Il lettore si diverte e riflette, mentre il giornalista frettoloso che deve scrivere un pezzo di Africa, Medio Oriente, Asia, trova sicuramente qualche spunto per un articolo. Insomma nessuno butta via il suo tempo ascoltando questi racconti sapientemente giocati tra passato e presente.
IL SUO È UN GIRO del mondo, nella storia, anche quella più antica, e nel presente, in poco più di 200 pagine. Orizzonti perduti, orizzonti ritrovati (Il Saggiatore, pp. 232, euro 22), è l’ultimo libro del giornalista, scrittore e inviato di guerra Eric Salerno: una sorta di guida ai suoi libri precedenti e ai reportage presentata in forma di racconto quasi colloquiale ma precisa fino al dettaglio. E chi ha la fortuna di conoscerlo può sentirne persino la voce e assaporarne le pause intriganti.
Non meraviglia che l’autore ci consegni una sorta di manuale per interpretare passato e presente – lo ha sempre fatto molto bene sia che scrivesse di Medio Oriente o del colonialismo italiano _ ma forse qualcuno rimarrà sorpreso nel sapere che è stato il primo, sicuramente tra gli italiani, a dare alle stampe alcuni decenni fa una Guida per il Sahara. Che un po’ tutti abbiamo saccheggiato per orientarci tra Algeria, Marocco, Mali, Senegal, Mauritania, Chad, Camerun e Sahel in generale, dove già ti perdi soltanto guardando la mappa, inseguendo confini reali e fittizi.
Così quando partiamo per questo viaggio sappiamo di essere in buone mani, e assai esperte. Con una storia personale alle spalle per questo ragazzo che viene dal Bronx, come in ogni film americano che si rispetti. Con una variazione non da poco sul tema: suo padre e sua madre comunisti a New York, tenuti d’occhio dagli agenti e infine espulsi nel dopoguerra, con lui, seduto su un carretto che innalza, bambino, un cartello di protesta sul molo del porto. Si ricomincia da un altro suo libro Rossi a Manhattan, per tornare ancora nel Bronx, più volte e in diverse epoche, per scoprire come è cambiata New York. Quando fa paura anche scendere dal taxi per rivedere la casa e la scuola dell’infanzia o per tornarci qualche anno dopo e scoprire che la gente lì vive pure bene. Ma sempre con la paura.
RICORDANDO una frase di Vance Packard: «Abbiamo il paradosso di una società che invia uomini sulla Luna mentre milioni di residenti nelle sue città non osano camminare soli di notte nelle strade e o nei parchi vicini alle loro case».
Soprattutto, ci sono le piste nel deserto, le tracce effimere ma affidabili percorse nei millenni da viaggiatori berberi, tuareg e occidentali. Ecco gli «orizzonti perduti», rotte che non si possono più percorrere tra il Sahel e il Sahara, costellate di avamposti militari impegnati contro i jihadisti e talvolta nella lotta ai trafficanti di essere umani. Oggi in certi luoghi del Sahara si arriva solo in aereo, non con un’ansimante Giulia bianca, moglie e due figli, come fece Eric Salerno tanto tempo fa. L’autostrada del deserto, faticosamente asfaltata negli anni Settanta, se l’è in gran parte ripresa la natura. Dune, voragini, acacie con spine capaci di bucare un pneumatico, l’hanno resa impraticabile. E fuori dalle oasi, dove un tempo la gente accoglieva Salerno con pasti caldi e giacigli ospitali, senza scorta non si esce: troppi attentati, rapimenti e richieste di riscatto. I confini degli stati sono crollati. È qui che l’autore comincia a riscrivere e aggiornare la sua guida del Sahara e del Sahel dove a Niamey stanno per mettere in piedi una consistente base militare anche gli italiani.
Poi, naturalmente, ci sono frontiere che cambiano, che si fanno sempre più profonde, definite e sanguinanti. Quaranta anni fa quando Eric arriva la prima volta a Gaza il confine esisteva solo sulla carta mentre gli israeliani facevano spese nella Striscia dove frutta e verdura costavano meno che sotto casa. Oggi ci sono il Muro, che si è rubato la terra dei palestinesi, reticolati elettrificati, uno slalom tra check point e blocchi di cemento, tra divieti e soprusi che ha portato diritto anche alla guerra di quest’anno, con altri morti e altre distruzioni.
MA CI SONO ANCHE gli orizzonti ritrovati. Il Sud asiatico non puzza più di napalm, quell’odore che inebriava il colonnello americano di Apocalypse Now. Sul delta del Mekong le canoe dee turisti _ oggi interrotte dal Covid – torneranno a incolonnarsi disciplinatamente, così come si affolleranno di nuovo gli stabilimenti balneari sul Mar Rosso, forse uno degli esempi più eclatanti del turismo mordi e fuggi, volutamente ignaro delle violenze che si compiono a pochi chilometri di distanza.
Eric Salerno ha cominciato presto a girare e capire il mondo, direi fin dall’infanzia cacciato da quel Bronx che il maccartismo voleva ripulire dai comunisti. Poi da inviato sono arrivate le botte, quelle vere, i pericoli scampati, la paura in guerra con i fucili puntati nello stomaco: tutto comunque ha fatto molto meno male di quel rifiuto subito nell’infanzia.
Si viaggia soprattutto con l’anima, l’unico vero bagaglio che ci portiamo dietro fino alla fine sulla terra. Come ammonisce un cartello sull’Uluru, la montagna sacra degli aborigeni australiani: «Calpestate con leggerezza».
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