Cultura

CaLibro, sulle tracce di Binyavanga Wainaina

CaLibro, sulle tracce di Binyavanga WainainaBinyavanga Wainaina

Appuntamenti Al via a Città di Castello il festival dedicato all’Africa. Scomparso nel 2019, all’eredità dell’autore keniano sarà dedicata una serata

Pubblicato circa 12 ore faEdizione del 4 ottobre 2024

«L’Africa è l’unico continente che puoi amare: sfrutta questo aspetto. Se sei un uomo, penetra tra le sue foreste vergini. Se sei una donna, tratta l’Africa come un uomo che indossa una giacca sahariana e scompare nel tramonto all’orizzonte. L’Africa va compatita, adorata o dominata. Qualunque sia il punto di vista scelto, assicurati di mettere bene in chiaro che, senza il tuo intervento e il tuo libro imprescindibile, l’Africa è spacciata Ti servirà anche un nightclub chiamato Tropicana frequentato da mercenari, malvagi parvenu africani, prostitute, guerriglieri ed esuli occidentali. Finisci sempre il libro con una frase di Nelson Mandela sugli arcobaleni o che parli di rinascita. Perché tu ci tieni». Così Binyavanga Wainaina nel provocatorio saggio Come scrivere dell’Africa (apparso per la prima volta sulla rivista Granta nel 2005) sfida con sagacia, ridicolizzandola, la descrizione stereotipata e pietistica che i media dominanti e la narrazione mainstream occidentali spesso trasmettono dell’Africa, ponendo interrogativi scomodi sull’autenticità della voce autoriale, sui rapporti di potere e sulle strategie di marketing dell’odierno mercato editoriale.

QUESTA PREDILEZIONE per la satira è il modo che l’autore keniano (nato a Nakuru nel 1971, a soli otto anni dal raggiungimento dell’indipendenza del suo paese dall’impero britannico, e prematuramente scomparso nel 2019) ha assunto per guardare il mondo e prenderlo in giro, per sopravvivere all’infamia di doverlo prendere sul serio. Lo stesso atteggiamento percorre molti dei saggi (da «Il Senegal della Mente» a «Come diventare un dittatore» o «Come diventare africano») oggi raccolti in volume insieme al meglio della sua produzione di narrativa breve in Come Scrivere dell’Africa (a cura di Achal Prabhala, traduzione di Massimiliano Bonatto, 66thand2nd p.417, euro 18), apparso in Italia, presso lo stesso editore, in concomitanza alla riedizione dopo dieci anni del suo memoir di formazione e sorta di confessione collettiva Un giorno scriverò di questo posto (pp. 291, euro 18).

Sin dagli esordi, Wainaina rivela un incrollabile amore per la parola, unito alla convinzione che il linguaggio sia l’unico mezzo per dare una struttura al mondo, e un’indole spensierata, onesta, senza pretese, ma disseminata di umorismo e charme – che riconfermava nell’incontrarlo di persona -, con la generosità aperta e spontanea con cui rispondeva instancabilmente alle curiosità di pubblico e stampa, il grande accogliente sorriso sempre sul volto.

Godibile e al tempo stesso esuberante compendio del pensiero di un africano eccentrico quanto mai «autentico» che non si riconosce in nessuna limitazione, i due testi riflettono con ironia e acume su un’ampia gamma di temi legati al continente, dalla politica interna e internazionale, all’economia e gli aiuti umanitari, dal patrimonio culturale, gastronomico e letterario alla tutela dei diritti civili fondamentali.

I DIECI ANNI TRASCORSI in Sudafrica, prima da studente di economia e commercio con sogni di beatitudine borghese e poi da immigrato irregolare con un visto scaduto negli anni della transizione dall’apartheid alla democrazia, da «seguace della cultura popolare dell’Occidente» e «erotomane culinario» come lui usava definirsi, lo hanno avviato ad una vita a cavallo tra Africa e Occidente in fuga dall’etichetta di «Mister Panafricano», vulnerabile alle differenze culturali, scettico verso il multiculturalismo sull’esempio di V.S. Naipaul, con l’istinto di appartenere a più paesi di quanto il suo passaporto facesse intendere.

Frequentatore di community online di scrittori (in cui conobbe una ancora poco nota Chimamanda Ngozi Adichie, con la quale poi intrattenne un intenso e duraturo rapporto di confronto e reciproco supporto), nel 2002 il suo racconto «Scoprire casa» ha vinto il Caine Prize; l’anno successivo fondò la rivista Kwani?, ancora tra le più innovative del continente.

Nel 2014 è stato inserito tra i Leading Global Thinkers dalla rivista Foreign Policy, ed è stato Direttore del Chinua Achebe Center di New York, lasciandoci una squillante eredità intellettuale contraria ad ogni falsa credenza di autenticità precostituita: «Chi ha inventato quella scemenza chiamata verità? Sono stanco della verità. Delle metanarrazioni, di altra verità ancora e del postcolonialismo. Un mondo intellettuale in cui ogni pezzo di carta riscrive la propria cornice percettiva. Tutti siamo rappresentati, nessuno è reale. Vi prego, ridateci i miti e le leggende; anche se parlano di saggi conigli bianchi e streghe cattive».

Come scrivere del continente nero

CaLibro Africa Festival 2024, da oggi a domenica a Città di Castello e realizzato in collaborazione con e/o, dedicherà una serata a Wainaina. Alle 21 del 6 ottobre al Teatro degli Illuminati si svolgerà l’incontro «Come scrivere dell’Africa: Omaggio a Binyavanga Wainaina» con Abdourahman Waberi, Chiara Piaggio, i giovani del laboratorio teatrale del Liceo Plinio il Giovane, le illustrazioni di Giovanni Bettacchioli, la musica di novenove. Tra gli ospiti di quest’anno, Érik Mukendi, Elgas, Chibundu Onuzo, Emanuela Anechoum, Saba Anglana, Riccardo Bozzi, Daniele Piccini, Giorgia Sallusti, Daniele Scaglione e Pietro Veronese.

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