Otto mesi dopo aver fatto una lista elettorale insieme, e dopo svariati anni di frequentazione, Carlo Calenda si è accorto dell’inaffidabilità politica di Matteo Renzi. Non c’era bisogno di tutto questo tempo. Quella di ieri è la cronaca della morte annunciata del terzo polo, che terzo non è mai stato, e alle ultime regionali in Friuli è precipitato al 2%.

ED È QUESTO FORSE IL VERO motivo politico di una crisi che questa settimana è deflagrata, ma che covava da tempo. Oltre al fatto che Renzi non può stare in un partito di cui non sia leader, come si è visto col Pd, da cui è uscito 5 mesi dopo l’elezione a segretario di Zingaretti. Insomma, pur avendo idee molto simili, i due non erano destinati a convivere. Tanto più che il leader di Azione spingeva per fare il partito unico il più in fretta possibile, intimando a Italia Viva di sciogliersi, di conferire i soldi del 2 per mille al nuovo soggetto e, udite udite, di non convocare più la Leopolda.

IERI MATTINA L’EPILOGO. Calenda ha letto sulla Stampa una frase attribuita a Renzi: «Calenda è pazzo, ha sbagliato il dosaggio delle pilloline» e non ci ha visto più. Ha impugnato lo smartphone e su twitter ha scaricato la sua rabbia: «Queste volgarità nascondono un nervosismo esagerato. Semplicemente hai provato a darci una fregatura e sei stato rispedito al mittente. Questa volta lo “stai sereno” non ha funzionato. Fine».

In effetti Calenda, prima di buttarsi in questo ginepraio, avrebbe potuto chiedere consiglio a Enrico Letta. Ma non ha potuto farlo perché lo scorso agosto era stato proprio lui a rompere l’accordo elettorale col Pd cinque giorni dopo averlo sottoscritto con tanto di pubblico bacio. E a buttarsi tra le braccia del fiorentino. Non a caso ieri Letta ha messo un like al tweet di Emma Bonino: «Dovrei dire che sono sorpresa? Proprio no. Calenda è fatto così».

DOPO IL PRIMO SFOGO, il capo di Azione è stato incontenibile. Intorno a mezzogiorno è stato intercetatto da Enrico Lucci di Mediaset: «Il partito non lo riusciremo a fare, perché Matteo vuole tenersi i soldi e il partito di Italia Viva e non si può far nascere, da due partiti, tre partiti: diventa ridicolo». Quanto alla possibile riunione prevista per ieri pomeriggio, ha aggiunto: «Lui non viene alle riunioni perché lui parla solo con Obama e Clinton».

È seguito un video sui social in cui Calenda ha chiuso la partita: «Il progetto di partito unico è naufragato per decisione di Renzi. Non ha fatto un passo di lato, ma cinque in avanti, si è ripreso la guida di Iv e ha esautorato il gruppo dirigente che stava lavorando con noi. Un grave errore. Noi andremo avanti rivolgendoci all’area popolare e liberale, mettendo in discussione tutto, anche il nostro nome». «Un clamoroso autogol», la replica dei renziani. «Noi restiamo pronti a scioglierci a ottobre, dopo il congresso». «Ci abbiamo provato, abbiamo fatto di tutto, ma Carlo aveva già deciso», il messaggio rivolto da Renzi ai suoi parlamentari

I DUE PARTITI, COME HA DETTO Calenda, tenteranno di restare insieme negli stessi gruppi parlamentari per non perdere i finanziamenti, anche se a Iv (che ha cinque senatori) ne manca solo uno per poter costruire un gruppo autonomo. Più dura alla Camera dove servono 20 deputati e il gruppo attuale è composto da 21 in tutto.

Il più lucido è Ettore Rosato, già coordinatore di Iv: «È il fallimento di tutto un gruppo dirigente. Quando non ci si riunisce non si ha mai ragione, c’era modo di cucire e non di strappare». Ancora più esplicito Matteo Richetti, per tanti anni a fianco del rottamatore e ora numero due di Azione: «Renzi non scioglie Iv perché prima vuol vedere chi vince il congresso. Non capisce che stiamo facendo tutti una figura del cavolo?».

Replica Teresa Bellanova, già ministra renziana: «Per fare un partito si ha bisogno di tempo, non si fa qualcuno teme di veder logorata la sua leadership. E non si può pretendere di avere intorno solo persone servizievoli».

Il fatto che Renzi abbia scelto come condirettore del Riformista Andrea Ruggieri, fedelissimo di Berlusconi, lascia capire che il suo sguardo è diretto più verso quel che resta di Forza Italia che a un esanime terzo polo. E pensare che proprio lui, dopo la vittoria di Schlein, si era detto «entusiasta» per le «praterie» di voti moderati pronti a bussare al terzo polo. Peccato che non ci sia più la porta. I voti, quelli non ci sono stati mai.