Calenda chiama Gualtieri: «Ma nessun M5S in squadra»
Vittoria a metà La mappa del voto dice che il centrosinistra ha ancora margini di crescita nei municipi
Vittoria a metà La mappa del voto dice che il centrosinistra ha ancora margini di crescita nei municipi
Tra il 30,1% raccolto da Enrico Michetti e il 27% di Roberto Gualtieri ci sono due settimane e ci sono soprattutto le sovrapposizioni e i giochi incrociati coi candidati che si sono classificati al terzo e al quarto posto con significative percentuali: Carlo Calenda (19,8%) e Virginia Raggi (19,1%). Calenda, la cui lista si è rivelata la più votata, ha ribadito di non voler dare indicazioni ai suoi elettori ma di essere disponibile a dichiarare la sua preferenza. «Sarà una dichiarazione a titolo personale», dice. Ponendo però una condizione: «Non devono esserci i 5 stelle in giunta». Poi precisa ulteriormente: «Non mi sento di destra e non ho mai votato destra». Gualtieri replica: «Non l’ho ancora sentito, mi aspetto che sosterrà il candidato progressista». Ed Enrico Letta assicura: «Calenda e Conte potrebbero convivere nella stessa coalizione».
PER CAPIRE i margini di manovra e gli spazi di consenso che potrebbe avere l’alleanza di centrosinistra, tuttavia, bisogna guardare la partita anche da un altro punto di vista. Perché se si sovrappongono i risultati dei candidati sindaco e quelli dei presidenti di municipio, si scopre che praticamente in tutte le unità amministrative capitoline vi è una singolare discrepanza: il consenso ai presidenti di municipio del centrosinistra supera di diversi punti (si oscilla dal 5 al 10%, a seconda
dei territori) i voti che sono confluiti sul candidato al Campidoglio.
GLI OSSERVATORI dei cicli storici delle elezioni romane, per lo meno da quando esiste l’elezione diretta del sindaco e sono stati istituiti i municipi, osservano che si tratta di un fenomeno inedito. Di solito, infatti, è il candidato sindaco in quanto persona più esposta e in genere più conosciuta a trascinare i presidenti di municipio alla vittoria. Questa volta, nel centrosinistra, avviene il contrario. Il che si spiega probabilmente anche col fatto che i candidati sui territori di Raggi e Calenda erano meno solidi e magari meno radicati, e che dunque chi ha deciso di votare queste due forze al Campidoglio poi sulla scheda del municipio ha optato per una classe dirigente che si percepisce più affidabile.
QUESTA IPOTESI di lettura trova conferma nel fatto che se si va a controllare distribuzione dei voti per Calenda si scopre che segue esattamente il criterio inverso: più forte il consenso per il candidato sindaco e meno per gli aspiranti presidenti. In ogni caso, questo dato conferirebbe un effetto trascinamento dai territori a Gualtieri: i presidenti di municipio porterebbero in dote i consensi che hanno raccolto al primo turno e che adesso sono liberi, visto che Raggi e Calenda sono fuori dalla partita e che in tutte e quindici le istituzioni di prossimità ci saranno i ballottaggi. Anche qui, peraltro, le sfide del 17 e 18 ottobre prossimi saranno ovunque tra candidati di centrodestra (che ha soppiantato i 5 Stelle ad esempio a Ostia) e quelli di centrosinistra (che raccolgono risultati significativi in diversi municipi: il più importante è l’ottavo, quello di Garbatella, dove Amedeo Ciaccheri sfiora la vittoria al primo turno e prende il 46%). Lo schema bipolare classico si ripropone dappertutto tranne che nel municipio VI, quello di Tor Bella Monaca, dove per un pugno di voti la candidata del Movimento 5 Stelle ha superato quello del centrosinistra e andrà al ballottaggio.
CON I DATI relativi alle preferenze si va componendo la maggioranza, ancora ovviamente del tutto ipotetica, che sosterrebbe in assemblea capitolina Roberto Gualtieri in caso di vittoria. Le due liste di sinistra, Roma Futura e Sinistra Civica Ecologista, eleggerebbero due consiglieri a testa. Dovrebbero farcela a portare un esponente anche Demos ed Europa Verde. Ma al momento questa è fantapolitica: prima bisogna che la coalizione di centrosinistra batta quella che appoggia Enrico Michetti. Giorgia Meloni è consapevole che il candidato scelto da Fratelli d’Italia influenzerà non di poco il verdetto sulla capacità del suo partito di essere baricentro della coalizione. E se si vince a Roma, dice ai suoi, la vittoria rivendicata dal Pd in queste amministrative si ridimensiona di parecchio.
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