Calciorama, anche le maglie hanno un’anima
Intervista A proposito di «I colori della passione», Edizioni Hoepli, scritto da Gino Cervi, Gianni Sacco e Osvaldo Casanova, un fuoriclasse del disegno sportivo
Intervista A proposito di «I colori della passione», Edizioni Hoepli, scritto da Gino Cervi, Gianni Sacco e Osvaldo Casanova, un fuoriclasse del disegno sportivo
Ancora prima dei grandi campioni, da bambini ci si appassiona a una squadra di calcio per i colori della maglia. Mentre da adulti i colori sociali ci danno il senso dell’appartenenza. Ma quali storie sono legate all’origine e all’evoluzione di quella maglia? E perché quella squadra ha proprio quel colore? È tutto spiegato molto bene nel libro Calciorama. I colori della passione (Ed. Hoepli, pp. 336, euro 29,90) scritto da Gino Cervi, Gianni Sacco e Osvaldo Casanova, un vero fuoriclasse del disegno sportivo.
Cervi, questo è il primo libro dedicato ai colori delle maglie del calcio. Come nasce l’idea?
Siamo tre autori irrimediabilmente condizionati dal nostro ormai lontano imprinting, quando da bambini scegliemmo la nostra squadra e i suoi colori. Non vogliamo sembrare vecchi brontoloni, ma vedere da qualche anno i «colori sociali» vilipesi da stilisti e designer che hanno così poca fantasia da non sapere nemmeno reinterpretare, aggiornandola, la tradizione, ci ha fatto venire voglia di raccontare perché il Torino è granata, la Fiorentina è viola, il Real Madrid è bianco e così via. E perché è buono e giusto che continuino a vestire di granata, di viola, di bianco.
In ogni capitolo, sono venti, viene preso in considerazione un colore o una combinazione di colori dai quali poi prendono origine e si evolvono quelli sociali di una squadra di calcio nazionale o internazionale, ma soprattutto delle storie.
Qualche esempio?
Partiamo sempre da una storia e da un protagonista che la incarna. Per esempio, Valentino Mazzola e il gesto di rimboccarsi le maniche per dare inizio al «quarto d’ora granata», una specie di saggio di bravura tecnico-atletica con cui il Grande Torino schiantava gli avversari. Poi, dopo la narrazione, più o meno libera, si passano in rassegna, in brevi excursus storici, le squadre che hanno vestito e vestono quei colori, spiegandone il perché. Spesso all’origine della scelta di un colore, o dei colori, ci sono ragioni più diverse. Ma, per semplificare, sono ricorrenti tre criteri: la casualità, la contrapposizione e la scaramanzia. Al primo caso appartiene ad esempio il bianconero della Juventus che nasce da un errore di spedizione. I giovani fondatori torinesi dopo aver giocato le prime partite con rimediate camicie di percalle rosa decisero di acquistare da un fornitore di Nottingham le maglie rosse della squadra locale; ma per un’incomprensione nell’ordine di spedizione arrivarono a Torino quelle bianconere del Notts County, l’altra squadra della città inglese. Meno noto invece è il motivo, anche quello fortuito, dei colori gialloblù del Boca Juniors: i giovani bairensi, quasi tutti di origine genovese del quartiere di Boca, a Buenos Aires, per scegliere i colori sociali si misero sulla banchina del porto e aspettarono la prima nave che faceva il suo ingresso nella darsena. Quella nave batteva bandiera svedese e le loro maglie furono blu con una banda gialla sul petto. Un altro esempio, a inizio ‘900, sono i nerostellati del Casale che, per contrapporsi ai fortissimi e, per questo, mal sopportati rivali e «vicini di casa» della Pro Vercelli che vestivano di bianco, scelsero per le loro divise il colore della notte. Infine, per effetto del Maracanazo, la drammatica sconfitta nella Coppa del mondo casalinga del 1950, i brasiliani abbandonarono la tradizionale maglia bianca per adottare il verdeoro.
C’è anche un capitolo dedicato al multicolor…
Sì, è il ventesimo ed è una sorta di refugium colororum. Lì raccontiamo delle squadre le cui maglie sono il frutto del «combinato disposto cromatico» di preesistenti società. Come la Sampdoria, per esempio, che ha una maglia, per la sua singolarità, tra le più celebrate al mondo. Ma anche di altre compagini che hanno almeno tre colori fondativi nella loro araldica. In verità, in questo capitolo, parliamo anche della maglia più brutta della storia, quella dei Colorado Caribous, la maglia da cow-boys vestita nel 1978 dalla squadra di Denver nel campionato della North American Soccer League: un’indigesta combinazione tricolore di bianco, nero e caffelatte con una fascia di pelle frangiata sul petto.
Quindi «Calciorama» è un romanzo del calcio dove non mancano però le storie di calciatori famosi e altri meno che hanno «usato» la maglia in un modo particolare…
Sì. Il colore e le combinazioni di colori sono stati per noi un pretesto per confezionare con una caleidoscopica carta da regalo le più diverse storie di calcio, molte delle quali già note, alcune meno conosciute. Per esempio, l’iconicità di Ronaldo, il Fenomeno, raffigurato nel libro in maglia nerazzurra come il Cristo del Corcovado in una fortunatissima pubblicità della Pirelli. Oppure Johan Cruijff che, ai Mondiali del 1974, gioca in nazionale con una divisa arancione che ha un dettaglio diverso dai suoi compagni: ovvero una striscia nera in meno delle tre che tutti quanti avevano sulle maniche, per via dello sponsor Adidas, che, per contratto con la ditta concorrente, la Puma, Cruijff non poteva vestire. Ma soprattutto vorremmo che questo libro catturasse l’attenzione anche di chi non sa di calcio e che però possa essere incuriosito per il modo trasversale con cui abbiamo raccontato decine e decine di storie. Invito a dare una scorsa all’indice dei nomi finale: sono oltre 900.
Nell’ultimo campionato del mondo di calcio in Qatar ci sono state delle maglie che hanno raccontato qualcosa, visto anche tutte le polemiche scaturite sulla scelta del Paese ospitante?
Mah, più che altro avrebbero voluto raccontare qualcosa… L’unica nazionale che si è espressa è stata la Danimarca che, in segno di dissenso, ha adottato una prima divisa in cui i loghi della Federazione erano così sfumati da sembrare quasi cancellati e una terza maglia, tutta nera, in segno di lutto per i numerosissimi lavoratori morti nei cantieri durante la costruzione degli stadi. Ma ai danesi la Fifa ha vietato di indossare delle maglie di allenamento con la scritta «Diritti umani per tutti». Per quanto riguarda l’aspetto estetico delle altre maglie, personalmente mi è molto piaciuta quella del Portogallo, con la partizione diagonale del rosso e del verde. Ma come si sarà del resto capito, simpatizzo per la classicità. Per questo mi è sembrato una funesta premonizione che il verdeoro brasiliano fosse così paglierino, che l’arancione dell’Olanda troppo giallo e, soprattutto, il fatto che le «furie rosse» della Spagna si siano fatte eliminare dal Marocco vestendo la maglia della Lazio…
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