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Cade Homs, “capitale della rivoluzione”: le opposizioni firmano la tregua

Cade Homs, “capitale della rivoluzione”: le opposizioni firmano la treguaLa città siriana di Homs – Reuters

Siria Il governo si accorda con i ribelli, come fatto a Ghouta e Zabadani. Ad Aleppo l'Esercito Libero Siriano si spacca, a Raqqa i residenti denunciano i raid internazionali

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 3 dicembre 2015

Niente di nuovo sotto il sole siriano. A parlare è la lingua della forza, mentre la promessa di far sedere allo stesso tavolo governo e opposizioni entro il primo gennaio si fa sempre meno concreta. E le due parti allora negoziano da sole, senza la supervisione di chi ne muove i fili da quattro anni: martedì le opposizioni a Homs hanno siglato con il governatorato della città il ritiro dal distretto di Waer, dove erano ancora presenti dopo aver abbandonato – sotto la supervisione Onu – il resto della città oltre un anno fa.

«Evacuazione degli uomini armati e delle loro armi e ritorno delle istituzioni dello Stato nel distretto»: questo l’obiettivo del negoziato descritto dal governatore di Homs, Talal Barazi. In cambio i miliziani potranno lasciare la città senza ritorsioni. Una sorta di amnistia a cui seguirà l’arrivo degli aiuti umanitari. Così cade definitivamente “la capitale della rivoluzione”, come era stata ribattezzata dopo le prime proteste popolari del 2011 e la comparsa delle opposizioni armate. Una città devastata, dove vivono 75mila persone contro le 300mila che vi risiedevano prima che la guerra distruggesse la Siria e le sue reti sociali, economiche e civili.

Non è la prima tregua locale siglata in Siria: il mese scorso toccò a Ghouta, est di Damasco, e a settembre lla città di Zabadani al confine con il Libano e a due villaggi sciiti a Idlib.

Opposta la situazione ad Aleppo dove a scontrarsi sono ex alleati, ovvero milizie interne all’Esercito Libero Siriano: le violenze sono scoppiate tra le Forze Democratiche Siriane (nuova coalizione formata da combattenti kurdi delle Ypg, assiri e alcuni gruppi legati all’Els) e la coalizione Fatah Halab (gli islamisti di Ahrar al-Sham, affiliata di al Qaeda, e altre fazioni vicine all’Esercito Libero).

Una faida esplosa per il controllo di due villaggi, Keshtar e Tanab, contese dai due fronti, ma già accesa dal sostegno che – secondo gli islamisti – i kurdi di Rojava riconoscerebbero all’intervento aereo russo. Per le Unità di Difesa Popolari kurde, che hanno saputo liberare Kobane e villaggi kurdi dalla morsa dell’Isis, il principale nemico restano i gruppi estremisti sunniti che non contemplano la presenza kurda nel futuro della Siria che immaginano. A questioni etniche si sovrappongono quelle politiche: al-Nusra, Isis e Esercito libero accusano le Ypg di non essersi mai opposte al governo di Assad. Di nuovo, non una priorità per Rojava che teme molto di più l’avanzata del sedicente califfato.

Non è un mistero che i cantoni kurdi, nati su ispirazione del Pkk, puntino al riconoscimento di una futura autonomia da parte del governo centrale, promessa mossa dalla Damasco di Assad in cambio della lotta allo Stato Islamico. Ad Hasakeh esercito governativo e Ypg combattono in zone diverse lo stesso nemico, coordinando ufficiosamente le azioni militari. E il nuovo intervento russo potrebbe rafforzare le relazioni tra Damasco e Rojava: Putin ha avanzato nei giorni scorsi l’ipotesi di armare le Ypg in cambio di un’avanzata verso ovest, in chiara chiave anti-turca.

Che l’intervento russo abbia modificato gli equilibri sul terreno è palese: la stessa Homs è tornata in mano governativa dopo un’ampia offensiva coperta dai raid di Mosca. Il presidente siriano incassa e ringrazia: ieri in un’intervista ad una tv ceca Assad ha vantato il ruolo russo nel rallentare l’avanzata del “califfato”, a differenza di quanto fatto in un anno dalla coalizione guidata dagli Stati uniti.

Eppure le bombe statunitensi e francesi continuano a colpire la “capitale” Isis, Raqqa, ma a pagarne il prezzo sono i civili usati come scudi umani dagli islamisti: una prigione, la definiscono ex residenti riusciti a fuggire nelle passare settimane in interviste con Middle East Eye. «Oggi Raqqa vive in un incubo – racconta Abdullah K. – L’Isis si arrovella per affamare in ogni modo la popolazione civile e ci riesce. Non c’è elettricità, l’acqua non è sterilizzata. Il centro sembra una città fantasma, eccetto per le case occupate dai membri dell’Isis che ricevono servizi. Qualsiasi intervento militare non segnerà la fine di Assad. I miei concittadini sono stati massacrati e sfollati dai paesi stranieri».

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