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Caccioppoli, ‘O genio, gallo al seguito

Caccioppoli, ‘O genio, gallo al seguitoRenato Caccioppoli

Pagine «Il gallo di Renato Caccioppoli» di Jean Noël Schifano, edito da Colonnese

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 13 gennaio 2024
L’artèteca. Artèteca indica chi non riesce a star fermo, che ha il ballo di San Vito, agitazioni neuromotorie. Chi ha l’artèteca, ve la trasmette, vi contagia. Ed è quello che vi accade mentre leggete Il gallo di Renato Caccioppoli, di Jean Noël Schifano (ed. Colonnese), già direttore del Grenoble di Napoli ed appassionato indagatore della storia e dei personaggi di Partenope. Freud, giunto a Napoli, definì i napoletani «scimmie»; Jung (con altri, p.es. Benjamin) rimase impressionato dalla ricchezza dei simboli di Napoli in quanto vissuti, incarnati, non collocati in una teca per studio. Grazie a Schifano, Caccioppoli diventa, come è, uno dei simboli più intensi ed enigmatici della città, ne ha la polivalenza. ’O Genio, come lo chiamava il popolo, si distingueva per le sue bizzarrie, motivate da un’anarchia (insofferenza) portata all’estremo o – diciamolo – una strafottenza e uno sberleffo tutto greculo-partenopeo. Insomma, uno alla Gerard Philippe, «col diavolo in corpo». Nipote di Bakunin, ’O Genio viveva in un appartamento storico, Palazzo Cellammare, che aveva ospitato, tra gli altri, Caravaggio, Tasso, Casanova, Goethe, Hackert. Al centro del suo «pensatoio», disadorno, un pianoforte di un nero intenso e, su un ripiano, due foto come lari: Rimbaud, un «maledetto», ed Evariste Galois che, ventenne, poco prima di un duello, consapevole che sarebbe stato ucciso, scrisse di getto, in delirio, la teoria degli insiemi. Renato, eccellente musicista e capace di interpretare magistralmente compositori complessi, era indeciso se iscriversi al Conservatorio o alla Facoltà di matematica. Benedetto Croce lo indirizzò verso la seconda.

Certamente i tasti del pianoforte, sollecitati, producevano suoni che il matematico vedeva volteggiare come spirali e derivate. Leggere il volume di Schifano significa attraversare la città guardando la radiografia di una mente: molti strati, congerie di storie depositate nell’occipite, rapidi zig-zag scritturali: una tammurriata con intensi momenti di trance. Sì: Schifano diventa Caccioppoli al punto che spesso si ha la sensazione che a raccontare, quasi in prima persona, e in modalità lirico-musicale, sia il matematico. Il «crollo della presenza» che portò al suicidio Caccioppoli (e si ricorda qui Majakovskij, che pone «il punto di una palla alla mia fine») avviene in una stanza ovattata mentre appaiono i molti compagni di viaggio: Elsa Morante, il nonno Bakunin, la zia Marussa, l’amata taverniera Tania, l’ex moglie Sara, il superburocrate comunista Alicata (quello, per intenderci, che pilotò l’ostracismo nei confronti di Scotellaro, seguito a ruota da Giorgio Napolitano), Maurizio Valenzi, ovviamente gli ospiti illustri del palazzo ma soprattutto, come evocati sui muri, gli ignoti popolani che lo osservavano e che, solidali, stando al gioco, gli facevano la carità quando ‘O Genio si sedeva a Via Caracciolo chiedendo spiccioli. La narrazione avviene nel ’38, in occasione di una parata, a Napoli, di Mussolini ed Hitler. In quegli anni era vietato, per legge, camminare con cani di piccola taglia in quanto segnale di scarsa virilità. Che ti combina il Caccioppoli? Si procura, tramite il suo più brillante allievo, Miranda, un gallo più colorato di un generale con dieci stellette e passeggia col volatile al guinzaglio, senza che nessun napoletano si meravigli. Memorabile la sua ironia quando, al Gambrinus, cantò, durante la parata, La Marsigliese, dopo di che fu arrestato e trasferito al nosocomio Leonardo Bianchi e, poi, a quello di Aversa per isolarlo e, grazie a Marussa, tutelarlo.

Che voleva dire ‘O Genio con la performance del gallo? Cerchiamo di decodificare, di creare una catena di senso: se non si scende negli allegati psichici, e storici, di una mente, anche l’immagine più ovvia rimane oscura, psicotica: mettere in mostra un volatile ricorda Diogene, il «barbone» che, alla definizione stoica di «uomo» come «bipede senza penne», portò nella Stoà un pollo spennato dicendo: «questo è un uomo» ? Il gallo è altresì, notoriamente, simbolo di virilità (messaggio ironico verso la legge che vietava i cani di piccola taglia); il gallo, altresì, è l’emblema storico della Francia (La Marsigliese, la Rivoluzione, La Comune); appartiene, infine, alla schiera dei gallinacei sacri a Demetra, dimorante periodicamente nell’Ade ed è dall’Ade che escono Mussolini ed Hitler. Una lunga tradizione, infine, vede contigui il gallo e Pulcinella.
Il pregio di Schifano è l’azione: il pensiero anticipa spesso la scrittura sulla spinta di una «paticità» arteriosa e inquieta, insofferente per le mistificazioni storiche e gli incensamenti. Ne sono esempio la dedica del volume all’adolescente Luciana Pacifici, deportata da Gaetano Azzariti, presidente del tribunale della razza, consigliere giuridico di Benito Mussolini e, poi, senza interruzione, di Palmiro Togliatti. Azzariti chiude la sua carriera come presidente della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana. Ci scusi il lettore: viene naturale, davanti a queste faccende, un bel Chicchirichì.

Ma torniamo al Genio sulla cui figura si sono soffermati intensamente Mario Martone e Mimmo Paladino. Si sa che Caccioppoli amava tenere spesso le sue lezioni in napoletano, lingua che riteneva, come tutti i dialetti, diretta e concreta in quanto i dialetti dicono la cosa laddove la lingua nazionale dice i concetti. Il napoletano era contraltare all’astrazione matematica; non si hanno, purtroppo, appunti in merito e sarebbe stato molto interessante osservare come il dialetto partenopeo, senza precedenti per concetti giuridici, storici, filosofici, scientifici, sia stato modulato da lui. Il libro reca, a fronte, il testo in napoletano, a cura di Renato D’Ajello, e anche in questo caso l’operazione merita attenzione: il linguaggio di Schifano è originale-originario e la traduzione non riguarda lavori consolidati cui si rivolgono i «cultori» del partenopeo (p.es. I Promessi Sposi, La Divina Commedia, etc.) per l’esibizione di bravura: affronta un mondo nuovo, un sistema di pensiero «orale».

Torniamo ancora al gallo: siamo nello studio di Renato, osservato da Rimbaud e Galois. Renato ha deciso (è stato deciso?) di farla finita col dolore; vuole andarsene col silenziatore e appoggia sulla sua nuca un cuscino prima di premere il grilletto della pistola. È adesso che, per una nuova alba, canta il gallo.

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