Visioni

Cacciare i nazisti, esercizio per una convivenza civile

Cacciare i nazisti, esercizio per una convivenza civileRemo Girone in «Il cacciatore di nazisti» – foto di Salvatore Pastore

A teatro Remo Girone nei panni di Simon Wiesenthal, «giustiziere» senza sadismo nella Germania del dopoguerra. Testo e regia di Giorgio Gallione

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

Procura un sicuro piacere rivedere in scena Remo Girone, attore straordinario (che proprio grazie a quei mezzi del resto aveva creato il successo planetario di Tano Cariddi nella Piovra) che torna in teatro con Il cacciatore di nazisti (dopo le recite al Duse per lo stabile genovese che l’ha prodotto, su testo e regia di Giorgio Gallione, ora in giro per una articolata tournée). E di pressante respiro è anche il testo prescelto, dove l’attore impersona Simon Wiesenthal, colui che dopo la guerra e l’internamento in un lager, passò il resto della sua vita a dar la caccia ai nazisti, colpevoli dei noti orrendi crimini, ma di fatto quasi impuniti nella Germania del dopoguerra.
Nella scena di Guido Fiorato, è una sorta di enorme archivio a circondare e stringere il protagonista. Non soffocante però, ma di imponente potenza e articolazione. Quei cassetti della memoria sono fisicamente i contenitori della coscienza: ordinati e implacabili, gremiti purtroppo, e però utilmente concreti nel dare al personaggio un ordine di azione e di memoria. Non c’è «sadismo» in quell’attività indefessa di andare a scovare i nazisti responsabili dei più crudeli misfatti, anzi l’effetto è in qualche modo rasserenante per chi in quel momento ha avuto forza e consapevolezza della situazione. Come in un catalogo di espedienti ma anche di somma presunzione, i «mostri» che nella loro apparente normalità hanno mortificato, imprigionato, seviziato e ucciso milioni di creature, «perché erano ebrei», si erano squallidamente intrufolati nella burocrazia e magari negli affari, in Germania come in Sudamerica.

E SEGUIRE Girone/Wiesenthal in quella caccia metodica e quasi sempre vittoriosa, offre anche per l’oggi alta dignità civile (oltre ai successi) a quella attività. Dove si spende memoria e intelligenza, giustizia e amore per tutta l’umanità. Il racconto scorre veloce, e oltre all’ammirazione per quell’uomo che dopo esser stato vittima della violenza nazista se ne fa in qualche modo «giustiziere», scatta nello spettatore un sentimento di consapevolezza e di sprone a una convivenza piena e civile, sempre in pericolo di oscurarsi.

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