Caccia all’islamista. A Bengasi 43 morti
Libia Generale lancia l’attacco da solo. Tripoli incapace di controllare le milizie armate
Libia Generale lancia l’attacco da solo. Tripoli incapace di controllare le milizie armate
Un’operazione militare non autorizzata dal governo, accusa Tripoli. Necessaria a ripulire Bengasi dai terroristi, replica il generale in pensione Khalifa Haftar. Queste le due versioni di quanto accaduto venerdì nella ribelle Bengasi: un ex capo dell’esercito, fuggito in esilio negli Stati Uniti negli anni ’80 e in prima fila nel 2011 nella deposizione del colonnello Gheddafi, ha radunato soldati a lui fedeli e sferrato un sanguinoso attacco contro militanti islamisti.
Almeno 43 morti, oltre 120 feriti. Un massacro che il traballante governo di Tripoli denuncia, affermando di non aver mai dato il via libera all’operazione («Un colpo di Stato», lo definiscono nelle stanze dei bottoni), gestita da Haftar in pompa magna: 120 veicoli militari, un jet dell’aviazione e elicotteri che hanno aperto il fuoco sui quartier generali islamisti.
«L’azione è contraria agli ordini militari emessi dalle autorità legittime – ha precisato il premier Ahmed Maiteeq (il terzo primo ministro in due mesi) – Il governo chiede alla gente di Bengasi di sostenere la legittimità di polizia e esercito». Ma, ordine del governo o meno, l’operazione è la dimostrazione dell’incapacità dell’attuale esecutivo di tenere insieme un Paese diviso e gestire quella selva di milizie armate, utilissime per rovesciare Gheddafi, ma ora incontrollabili.
Da tempo Haftar se ne andava in giro a gridare vendetta contro i gruppi islamisti attivi nella capitale della Cirenaica, considerati i responsabili di attacchi suicidi ed esplosioni. Alla campagna punitiva lanciata dalle milizie di Haftar, battezzatesi Esercito Nazionale, sono seguiti scontri con le milizie islamiste Rafallah al-Sahati e Ansar Sharia e il gruppo 17 Febbraio. Il governo ha chiuso l’aeroporto di Bengasi e ordinato all’esercito di non entrare in città per unirsi all’operazione.
A tre anni dalla destituzione del colonnello, apertamente sostenuta con armi e denaro dai governi occidentali, la Libia è spaccata. Il regime gheddafiano aveva tenuto insieme tribù e comunità, un’unità persa dopo l’attacco Nato. In particolare la Cirenaica – che non ha mai nascosto le sue mire indipendentiste – è oggi teatro di spinte separatiste sempre più radicate, guidate dai leader tribali e da Ibrahim Jathran, autoproclamatosi presidente del governo indipendente della Cirenaica.
E ai desideri secessionisti di Bengasi si aggiungono gli interessi delle milizie armate che non hanno mai abbandonato le armi e oggi pretendono dal governo centrale riconoscimento politico e una parte dei proventi della vendita di greggio. Infine, le forze armate. Tali gravi defezioni sono il segnale del bassissimo consenso di cui gode l’esecutivo: all’operazione di Haftar hanno aderito soldati dell’esercito regolare, pronti a disobbedire a Tripoli.
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