Cultura

Caccia alle streghe, la memoria ritrovata

Caccia alle streghe, la memoria ritrovataUna rappresentazione d’epoca dei processi di Triora

Medioevo Triora, borgo della Riviera Ligure, fu l’epicentro nel 1587 di un drammatico caso di persecuzione. Un libro e un convegno indagano su una vicenda che divise anche la Chiesa. L’inchiesta coinvolse circa 100 sospetti su 2500 abitanti. Diverse donne furono torturate, altre si suicidarono. Perfino l’Inquisizione intervenne contro l’«eccesso di crudeltà»

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 10 ottobre 2024

A Triora, fra il 2 e il 4 ottobre, si è svolto il quarto colloquio internazionale del gruppo di ricerca Inquire – International Centre for Research on Inquisitions (diretto da Irene Bueno, Riccardo Parmeggiani, Vincenzo Lavenia, dell’Università di Bologna) sul tema «Scrutinizing the Devil’s Plot: Magic, Witchcraft, and Inquisitions (XIV-XIX Century)». Il luogo scelto, per quanto di non facilissimo accesso, perso com’è fra le montagne dell’entroterra ligure, nella Valle Argentina, non potrebbe essere più adatto: qui nel 1587 si aprì una stagione di caccia alle streghe rimasta celebre. Lo stesso paese di Triora, con le sue poche centinaia di abitanti, gioca su questa fama sinistra, con qualche tocco folkloristico, ma allo stesso tempo si attrezza per favorire una conoscenza storica degli eventi, fornendo sedi e sostegno a una iniziativa che porta nel borgo studiosi del fenomeno provenienti da tutta l’Europa.

MA COSA ACCADDE DAVVERO a Triora? In concomitanza con il convegno, l’uscita di un libro che contiene le fonti aiuta a conoscere meglio una vicenda il cui finale a lungo era rimasto oscuro: La causa delle streghe di Triora. I documenti dei processi (1587-1618), a cura di Alfonso Assini, Paolo Fontana, Gian Maria Panizza, Paolo Portone (Pro Triora Editore, pp. 408, euro 15).

La caccia è legata a un contesto di crisi climatica ed economica, con siccità e scarsità di risorse che colpirono duramente la comunità locale. Questa situazione provocò un aumento della mortalità infantile e sospetti verso persone ritenute responsabili di malefici. Alcuni storici suggeriscono che le accuse furono alimentate anche dalle tensioni interne al villaggio. Le prime indagini furono avviate dal vicario del vescovo di Albenga, Gerolamo del Pozzo, su richiesta del podestà di Triora, Stefano Carrega.

L’inchiesta coinvolse circa 100 sospetti su una popolazione di 2.500 abitanti. Gli interrogatori portarono alle prime vittime: due donne si suicidarono, probabilmente a causa delle torture. Una di loro fu identificata come Isotta Stella, il cui corpo venne gettato in un letamaio. Inizialmente, le accuse si concentrarono su donne marginalizzate che vivevano a «La Cabotina», un casolare abitato da vedove, donne povere o guaritrici, ritenute capri espiatori ideali.

Nel gennaio 1588, il consiglio degli anziani tentò di interrompere l’inchiesta, appellandosi a Genova e ottenendo l’arrivo di un inquisitore che interrogò i prigionieri. Molti ritrattarono, denunciando le confessioni estorte con la tortura. Una tredicenne, che si era dichiarata colpevole, abiurò pubblicamente grazie all’intervento del domenicano Alberto Drago, venendo condannata solo a pene leggere. Tuttavia, l’8 giugno 1588, l’arrivo del commissario Giulio Scribani da Genova ampliò le indagini a nuove località, come Andagna e Ventimiglia. Scribani confiscò i beni dei condannati e iniziò nuove ondate di arresti, prevalentemente di donne, con accuse di malefici, infanticidio e patti col demonio. Una delle prime condannate fu Gentile Mori, impiccata e arsa, con confisca dei suoi beni.

LA BRUTALITÀ delle procedure spinse la Repubblica di Genova a richiedere una revisione dei processi. Serafino Petrozzi, incaricato di indagare, dichiarò che mancavano prove sufficienti e che il caso doveva essere gestito dal foro ecclesiastico. Nonostante divergenze interne, Scribani confermò alcune condanne a morte, ma cinque imputate furono inviate a Genova per un’ulteriore revisione.
L’Inquisizione di Genova, intervenuta nel settembre 1588, prese il controllo dei processi. Il cardinale Giulio Antonio Santoro, esaminando la documentazione, accusò i giudici genovesi di crudeltà e inumanità. Santoro, figura influente nell’Inquisizione, contribuì a una tendenza, quella di ridurre l’importanza delle accuse di stregoneria. A Triora, le imputate ritrattarono le confessioni ottenute con la tortura e, alla fine, nessuno fu condannato a pene gravi, sebbene va ricordato che le vittime vi erano già state.

LA RELATIVA MODERAZIONE dell’Inquisizione romana, che impose standard di prova più elevati, contribuì a evitare in Italia gli eccessi delle cacce alle streghe che devastarono altre regioni europee. Tuttavia, l’Italia fra tardo medioevo e prima età moderna era caratterizzata da profonde differenze per quanto riguarda l’applicazione della legge e il rapporto con il Santo Uffizio. Certe aree liminali videro in effetti episodi di caccia alle streghe maggiormente assimilabili a quanto accadeva oltralpe, e soprattutto in Germania. È il caso della diocesi di Como, un luogo «di frontiera», com’è definita nel volume di Valerio Giorgetta e Paolo Portone: Montagne stregate. La lunga caccia alle streghe nell’antica diocesi ci Como (XV-XVIII secolo) – (WriteUp, pp. 598, euro 32), per la quale gli autori, nonostante una documentazione che resta frammentaria, ci dicono che sotto processo per stregoneria finirono 807 individui, dei quali 422 furono messi a morte, 46 banditi, 56 condannati a penitenze pubbliche, 57 liberati, mentre 226 subirono sorte ignota.

NON SOLO L’INTENSITÀ del fenomeno, ma anche la sua precocità viene sottolineata dagli autori. Qui infatti alcuni dei processi si celebrarono già all’inizio del Quattrocento, quando si comincia a parlare della «setta» delle streghe; dei malefici loro attribuiti, nonché del background dotto e folklorico che si intravede dietro le accuse e le confessioni, Giorgetta e Portone danno una ricostruzione accurata. Le «montagne stregate» in effetti furono culla in Italia e altrove di alcuni fra i primi processi: l’Italia centrale appenninica, l’Umbria soprattutto, già dagli anni Venti. I cantoni montani della Svizzera ugualmente, nonché i Paesi Baschi, da quanto sta emergendo da ricerche recenti. È da qui, dove forse più facilmente si erano mantenute antiche credenze, che provengono i primi segnali di ciò che sarebbe accaduto.

Tornando a Triora, quasi un secolo prima della caccia, una chiesa veniva dedicata a San Bernardino da Siena: difficile dire se davvero vi avesse predicato, ma a lui possiamo oggi attribuire i primi sermoni nei quali si fa menzione dei crimini delle streghe. E nella chiesa di San Bernardino a Triora un affresco del Giudizio Universale accomuna le streghe (indicate come «fatuciere») agli eretici («gazari», ossia catari). È quanto stava avvenendo anche sul piano del diritto, con l’equiparazione della stregoneria all’eresia, che nella montagna ligure ha lasciato un segno precoce quanto affascinante.

Il documento / La lettera di protesta degli anziani del paese al Doge di Genova

Un brano dalla «Lettera di protesta degli Anziani di Triora al Doge di Genova, 1588», raccolta nel volume La causa delle streghe di Triora.
«Fu per la prima fatta incarcerare una chiamata Issota Stella, quale Issota fini di esser statta tormentata più volte alla corda, non ostante che fusse vecchia più di anni sessanta. Un giorno fra li altri, quasi disperata, chiamato a sé il vicario di Mons. Vescovo, confessò haver complici di quanto era sospetta. Poco indi appresso, nodrita di pane et acqua, straziata di tormenti, se ne è morta inconfessa e senza ordini di chiesa, per la cui nominazione, o per altre forse simili indici, sono statte fatte prigioni altre donne, quasi trenta, fra qualli vi sono giovane d’anni venti, idiote, et anche in particolare matrone di questo luocho che non hanno datto da sospettare a persona alcuna di cosa men degna di persone di honore. Et perche essi signori vicarij contra la più parte di esse procedono per nominazione che fanno simili incarcerate, senza darli diffese alcune né copia d’indici, con darli corda per lungo spatio, et puoi fuoco alli piedi per lungo spatio anchora, et appresso le fanno vegliare per più d’hore quaranta cinque, incominciando dalla sera, oltre haverle farre co’ ruptorij pelare in tutte le parte del corpo».

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