Debutterà il primo di settembre il nuovo Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl). Si chiama così la piattaforma su cui dovranno accedere per ricevere offerte di formazione e di lavoro i percettori dell’Assegno di inclusione e del Supporto alla formazione e al lavoro, gli strumenti di sostegno al reddito che prendono il posto del reddito di cittadinanza.

Il nuovo portale annunciato con trepidazione dalla ministra del lavoro Marina Calderone rappresenta un’interfaccia unica di accesso a banche dati già esistenti, come il Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, su cui sono registrati i dati degli «occupabili», e la piattaforma di gestione dei Patti di inclusione sociale, che riguarda i nuclei familiari con minori, disabili o anziani che continueranno a ricevere un reddito di cittadinanza, seppur decurtato. Dal punto di vista tecnico la sua realizzazione nei tempi previsti non dovrebbe presentare criticità, dato che si fonda su sistemi già esistenti.

Sulla sua efficacia, invece, più di un dubbio è lecito. L’idea di affidare la ricollocazione professionale a una piattaforma informatica ricorda da vicino un vecchio pallino del governo gialloverde. Correva l’anno 2019, quando l’allora ministro del lavoro Luigi Di Maio – su segnalazione di Rocco Casalino – designò alla presidenza dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro Mimmo Parisi, sconosciuto professore dell’università del Mississippi. Il prof portava in dote nientemeno che una app da lui ideata e adottata con autocertificato successo dallo Stato dei campi di cotone: con lo smartphone, i disoccupati potevano caricare le loro competenze e ricevere offerte di lavoro e formazione selezionate con big data e intelligenza artificiale. In Italia Parisi ebbe poca fortuna e fece presto ritorno negli Usa, tra accuse di spese pazze e di scarsa produttività.

La piattaforma Siisl dovrebbe funzionare nello stesso modo della app del Mississippi: gli «occupabili» la useranno per andare a caccia di annunci caricati dalle Agenzie per il lavoro private accreditate. Si ribalta la logica, seguita prima dalla ministra del lavoro grillina Nunzia Catalfo e poi dal suo successore dem Andrea Orlando, basata sulla presa in carico delle persone senza lavoro da parte dei centri per l’impiego regionali, che ora reciteranno un ruolo secondario e concorrente a quello delle agenzie private. Sulla piattaforma della ministra Calderone saranno gli occupabili a districarsi nell’asfittico mercato del lavoro, identificando le competenze più richieste e procurandosi la formazione adeguata allo scopo. Le stesse agenzie private saranno poco propense a collaborare con il Siisl almeno finché il governo non verrà loro incontro aprendo la piattaforma anche ai cosiddetti «naspisti», i percettori del sussidio di disoccupazione più facilmente ricollocabili che alle Agenzie private fanno gola.

Ma l’errore a monte consiste nella definizione stessa di «occupabilità», il pilastro ideologico di tutta la riforma del welfare del governo Meloni: nella neolingua della destra, «occupabili» si diventa sulla base dell’età – bisogna avere meno di 60 anni – e del nucleo familiare, che non deve comprendere minori, anziani e disabili. Con questi criteri che non prendono in considerazione competenze e distanza dal mercato del lavoro, la platea degli occupabili abbonda di persone con titolo di studio troppo basso e residenti in regioni in cui l’offerta di occupazione, semplicemente, non c’è. Con questo presupposto, ogni politica attiva del lavoro è destinata al fallimento.