Caccia al dissenso, l’israeliana Nso nella lista nera di Washington
Usa/Israele Nel mirino del Dipartimento al commercio c'è lo spyware Pegasus, usato in oltre 40 paesi per spiare e reprimere attivisti, giornalisti e politici, uno degli strumenti della cyber diplomacy israeliana: il software venduto dietro autorizzazione del governo di Tel Aviv
Usa/Israele Nel mirino del Dipartimento al commercio c'è lo spyware Pegasus, usato in oltre 40 paesi per spiare e reprimere attivisti, giornalisti e politici, uno degli strumenti della cyber diplomacy israeliana: il software venduto dietro autorizzazione del governo di Tel Aviv
Tre mesi fa le cancellerie globali scoprivano lo spyware Pegasus della compagnia israeliana Nso Group. Ora con una mossa un po’ a sorpresa, gli Stati uniti inseriscono la società nella cosiddetta entity list, lista nera di soggetti a cui Washington non trasferirà più proprie tecnologie.
Con la Nso, c’è anche un’altra compagnia israeliana specializzata in software-spia, Candiru. Entrambe sono accusate di aver permesso «a governi stranieri di condurre una repressione transnazionale» con l’obiettivo di «mettere a tacere il dissenso». A rendere noto il modus operandi della Nso (seppur già conosciutissimo dalle sue vittime) era stato a luglio un «consorzio» di ong e giornali: Forbidden Stories, Amnesty e media tra cui Le Monde e The Guardian.
LA COMPAGNIA, dietro autorizzazione del governo di Tel Aviv, vendeva lo spyware a regimi di tutto il mondo per hackerare i telefoni di coloro che erano considerati una minaccia alla sicurezza. Secondo i tre-cofondatori della Nso (Niv Carmi, Shalev Hulio e Omri Lavie, tutti transitati per la famigerata unità 8200 dell’esercito israeliano, il cui compito è sorvegliare le comunicazioni dei palestinesi, per arrestarli o ricattarli al fine di farne degli informatori), l’obiettivo erano le reti di terroristi, pedofili, venditori di armi.
In realtà Pegasus è stato usato in oltre 40 paesi per spiare giornalisti, politici, attivisti per i diritti umani; conoscerne l’attività entrando nei loro telefoni e trasferendo messaggi e foto al software-spia; e in moltissimi casi arrestarli. Se non ucciderli: il giornalista saudita Jamal Khashoggi è stato pedinato così.
Mentre il governo israeliano prosegue nelle sue indagini interne dicendosi estraneo alla vicenda (ma è Tel Aviv che autorizza la vendita di Pegasus, esattamente come fa anche per armi e tecnologie militari), ieri l’amministrazione Biden ha preso la prima misura concreta: lo spyware «è contrario alla politica estera e agli interessi alla sicurezza nazionale degli Stati uniti», ha spiegato il Dipartimento al commercio che così impedirà il rifornimento di tecnologie Usa alla Nso e, di conseguenza, la capacità dell’azienda di lavorare a livello internazionale e attrarre nuovi investitori.
DAL QUARTIER GENERALE della Nso, ad Herziliya, ieri è arrivato il primo commento: «Rigettiamo la decisione, visto il nostro sostegno agli interessi Usa nel prevenire il terrorismo e il crimine». Tre mesi fa i tre co-fondatori se la presero con il Qatar e la campagna di boicottaggio dell’occupazione israeliana. Tace invece il governo israeliano, che di Pegasus ha fatto una delle teste di ariete della sua cyber diplomacy, un gradino più su di quella diplomazia militare che gli ha permesso di tessere legami con i regimi di mezzo mondo.
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