«You are pathetic». Trucco estremo alla Divine, testa calva e anfibi calzati sotto il caftano di paillettes, Sam Buttery accoglie con studiata insolenza il pubblico. Quando però parte Wilkommen e entrano le ballerine e ballerini del Kit Kat club svaniscono le incertezze e esplode l’applauso. Singolare rinascita quella del Lido di Parigi, che riapre i battenti – il nome Lido2 però manca di allure – con la storia di un locale notturno che chiude. Cabaret, musical record di incassi e amatissimo, firmato da John Kander e Fred Ebb nel 1966 segue infatti la folgorante parabola del cabaret berlinese Kit Kat e la sua chiusura all’avvento del Nazismo. Robert Carsen, che a Parigi ha creato tante regie d’opera e ha allestito mostre, ha costituto uno spettacolo perfetto per la piattaforma circolare della sala,, che nonostante i mille posti, con i suoi tavolini e i mosaici echeggia le atmosfere di un club déco. Le coreografie riescono a riaccendere l’urgenza spasmodica e la carica sessuale anarchica e disperatamente liberatoria del periodo

APERTO nel 1946 sugli Champs Elysées dai fratelli Clerico, italiani dell’Alto Canavese, il Lido ha visto esibirsi da Edith Piaf a Marlene Dietrich, Elton John; i suoi show acrobatici e lussuosi, le cene, lo champagne e le statuarie Bluebell Girls, hanno contribuito a definire il prototipo del teatro di varietà del dopoguerra. Dopo l’ultima produzione del 2015 il club, più castigato e borghese del Moulin Rouge e del Crazy Horse, non ha retto all’urto della pandemia e ha chiuso definitivamente la scorsa estate. A fine novembre la nuova l’avventura del musical. Tra fulminei cambi scena a vista la storia d’amore della ‘flapper’ Sally Bowels – la volitiva e capricciosa Lizzy Connolly – e dello scrittore bisessuale americano Cliff Bradshaw – l’elegante Oliver Dench – si intreccia ai song più famosi, da Two ladies a Money – alcuni modificati o espunti nel film con Liza Minnelli – e soprattutto ai formidabili numeri di danza che rievocano la vita berlinese dentro e fuori dal Kit Kat.

LE COREOGRAFIE riescono a riaccendere l’urgenza spasmodica e la carica sessuale anarchica e disperatamente liberatoria degli anni di Weimar, tratto ormai cannibalizzato dall’estetica pubblicitaria della società dei costumi. Un mattone infrange la vetrata del negozietto dell’ebreo Schultz: è l’inizio della fine, che tronca anche il tardivo fidanzamento del timido negoziante – Gary Milner -con la ruvida Fräulein Schneider, che grazie all’interpretazione di Sally Ann Triplett regala momenti di malinconia agrodolce in So what? la sua ricetta per affrontare le avversità, almeno finché le camere della pensione si affitteranno.
Carsen e il coreografo Fabian Aloise non nascondono le ombre cupe che incombono: in Tomorrow belongs to me i giovani del club passano dai giochi sadomaso in boxer e reggicalze a una disturbante trasformazione danzante in camicie brune, che ricorda lo straniamento del film Jojo Rabbit. Struggenti l’addio fra Sally e Cliff e il congedo dell’Emcee, I don’t care much, intonato nel cabaret ormai deserto. Chi può fugge mentre sul sipario alle immagini di Hitler e delle adunate naziste si sovrappongono altre di Stalin, Castro, Mussolini fino a Putin, un richiamo ecumenico e neutrale contro ogni dittatura che avrebbe lasciato interdetti gli affezionati del Kit Kat e sciupa un po’ il finale di un lavoro altrimenti perfetto. In scena fino al 3 febbraio