Byung-Chul Han, l’intimità messa in piazza
Saggi «La società della trasparenza» di Byung-Chul Han per Nottetempo. Un testo che coglie forti tendenze presenti nella realtà contemporanea. Ma che riduce la critica a un reiterato aforisma sulla mercificazione
Saggi «La società della trasparenza» di Byung-Chul Han per Nottetempo. Un testo che coglie forti tendenze presenti nella realtà contemporanea. Ma che riduce la critica a un reiterato aforisma sulla mercificazione
La sociologia sta attraversando da alcuni decenni una fase di crisi identitaria. E tale crisi consente alle altre discipline sociali d’invadere quello specifico territorio che essa si era ritagliata nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Cioè di occuparsi di quello che costituiva il suo oggetto d’analisi privilegiato: la società. Lo fanno gli antropologi. Da questo punto di vista il lavoro di Marc Augé è esemplare, così come lo è quello di Duccio Canestrini. Da quando però è nato il filone della cosiddetta «filosofia pop», sono soprattutto i filosofi ad occuparsi del sociale. È il caso, ad esempio, del filosofo tedesco di origine coreana Byung-Chul Han, di cui è stato tradotto in italiano il volume La società della trasparenza (Nottetempo, pp. 94, euro 11), che segue idealmente il precedente La società della stanchezza, uscito in Italia nel 2012. In questo nuovo testo, l’autore si concentra su un aspetto paradossale del sociale contemporaneo: l’ossessione per la trasparenza a tutti i costi, che promette una maggiore libertà personale, ma determina invece la nascita di nuove forme di potere. L’individuo, infatti, si trova a vivere all’interno di uno spazio privato che non riesce più a controllare ed è sommerso dall’enorme quantità di dati e informazioni che la trasparenza inevitabilmente genera.
In entrambi i volumi, Byung-Chul Han è fortemente influenzato da pensatori radicali francesi come Jean Baudrillard e Michel Foucault. Il primo è probabilmente l’autore che ne La società della trasparenza viene citato il maggior numero di volte.
C’è però un pensatore francese che non viene esplicitamente citato, ma che esercita un’influenza decisiva sulle riflessioni di Byung-Chul Han: GuyDebord. Dell’autore de La società dello spettacolo viene infatti ripreso sia lo stile di scrittura aforistico, che il tono fortemente critico e radicale. E qui sta il principale problema che l’analisi del filosofo tedesco comporta. L’operazione di Debord aveva infatti un senso negli anni Sessanta, perché La società dello spettacolosi presentava come una specie di manifesto di rivendicazione per le lotte giovanili di contestazione e così in effetti ha funzionato, a cominciare dalle lotte parigine del maggio 1968. Ma oggi non sembra esserci un contesto sociale adeguato a recepire un libro-manifesto di questo tipo.
Da un volume che ha come titolo La società della trasparenza ci si dovrebbe aspettare oggi un’analisi di come funziona una delle caratteristiche più importanti delle società contemporanee: la trasparenza. Ed è proprio da questo punto di vista che il volume di Byung-Chul Han presenta i maggiori problemi. Perché quello che afferma nelle pagine il filosofo tedesco può essere condiviso, ma rimane appunto al livello dell’affermazione aforistica. Non si può infatti non essere d’accordo con lui quando scrive, ad esempio, che «La trasparenza è una coercizione sistemica che coinvolge tutti i processi sociali e li sottopone a una profonda mutazione». Un’analisi che voglia essere rigorosa non dovrebbe fermarsi qui e dovrebbe mirare invece ad ottenere un maggior livello di approfondimento. Dovrebbe cercare cioè di spiegare perché la trasparenza sia oggi fondamentale dal punto di vista economico e strutturale. Perché dunque operi come un importante strumento di produzione per l’attuale assetto del sistema capitalistico.
Le parti più innovative del volume sono quelle nelle quali Byung-Chul Han cerca di legare il tema della trasparenza alla rivoluzione digitale in corso e in particolare al fondamentale ruolo che viene esercitato dai social network. La sua idea è che i social media e i motori di ricerca, adottando l’ideologia della trasparenza, creino uno spazio intimo e condiviso dal quale vengono brutalmente espulsi il pubblico e l’esterno. A ben vedere, però, tale opinione non è molto lontana da quello che Richard Sennett portava avanti già alla fine degli anni Settanta e cioè che nelle società occidentali l’uomo pubblico stava lasciando il posto all’uomo dell’intimità. Come d’altronde hanno più volte affermato negli ultimi anni anche diversi studiosi del Web, a cominciare da Eli Pariser, che ha presentato le sue riflessioni in proposito nel volume Il Filtro.
Ma il problema che l’analisi di Byung-Chul Han soprattutto presenta è che muove da una visione fortemente negativa del sistema sociale. Una visione simile a quella proposta a suo tempo da Debord, e dunque radicale e priva di speranze per il futuro. È invece corretto ritenere che l’attuale «società trasparente», nonostante gli evidenti limiti che presenta, possa consentire anche la nascita di nuove possibilità per gli esseri umani e di spinte sociali orientate verso l’emancipazione. E che dunque sia possibile analizzarla facendo ricorso ad una prospettiva maggiormente dialettica.
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