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Buzzi: la corruzione? «Solo il 3 per cento»

Buzzi: la corruzione? «Solo il 3 per cento»Salvatore Buzzi

Mafia Capitale Il fondatore della 29 giugno ai giudici: Carminati «una brava persona. Faceva promozione». Per le cooperative in arrivo il commissariamento

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 9 giugno 2015

Massimo Carminati «è una brava persona», uno che «con me si è sempre comportato bene»: parola di Salvatore Buzzi. Nella cooperativa 29 giugno il Nero, per Buzzi, c’era finito quasi per caso, un incontro casuale, appunto, tra due ex detenuti conosciutisi in galera una trentina d’anni prima. Se ne sarebbe andato presto, nel 2015. Era già pronta la sua cooperativa Cosma (che per gli inquirenti era invece una scatola vuota necessaria solo per giustificare gli introiti del fascista). Per la 29 Giugno, dice ancora Buzzi, il suddetto «Cecato» faceva soprattutto «attività di promozione»: di immigrati, poi, se ne occupava poco e niente. Giusto «una partecipazione ai minori non accompagnati, per la fornitura pasti». La medesima cooperativa rossa, poi, non corrompeva affatto, e anche ammesso che lo facesse (cosa che Buzzi recisamente nega), si sarebbe trattato di sommette: «Il 3% del fatturato su un giro d’affari di 6 milioni l’anno con 16 milioni di liquidità. Un’inezia che avrebbe inciso poco anche sui miei introiti». Pari a circa 200mila euro l’anno.

Dal carcere di Nuoro, Buzzi risponde in videoconferenza ai giudici che devono decidere sulla richiesta della procura di Roma. Chiedono, per lui, Carminati e altri 9 indagati, la sorveglianza speciale, l’obbligo di soggiorno e la confisca dei beni tra cui la casa di Buzzi, valore 910mila euro. Che il presidente della 29 Giugno neghi ogni addebito è nell’ordine delle cose. Non significa che nelle sue parole non possano essere mischiate bugie e verità. Il ruolo periferico di Carminati è smentito da una valanga di intercettazioni nelle quali il «Cecato» figura senza possibilità di dubbio come capo dell’organizzazione. Nulla però prova che l’ex amico dei ragazzi della Magliana si sia impicciato negli appalti romani prima del tempo indicato da Buzzi, «pochi anni fa». Dalle carte rese note sinora appare anche credibile che, in prima battuta, il suo ruolo fosse quello di garantire il pagamento di alcuni debiti del comune con la cooperativa, in particolare intervenendo sul manager di Eur spa Riccardo Mancini, sul quale il Nero esercitava un indubbio ascendente dovuto ai suoi trascorsi fascisti più che a quelli criminali. Peraltro, giura Buzzi, «neppure Carminati riuscì a evitare che ci fossero fatte condizioni sfavorevoli».

Non si tratta di particolari. Il momento dell’entrata in scena di Massimo Carminati è determinante per capire se il malavitoso abbia costruito, in virtù delle sue aderenze criminali e delle sue doti organizzative, la struttura che intendeva «magnasse Roma» o se invece si sia inserito in un sistema preesistente. Del resto Carminati pare effettivamente assente dalla spartizione del boccone più succulento, quello dell’immigrazione e dei centri di assistenza.
Di Carminati, negli ultimi giorni, non ha parlato solo il sodale della 29 Giugno. Nelle carte della seconda tranche dell’inchiesta compare poco, ma i giornali sono pieni di ipotesi basate su varie intercettazioni. E’ la stessa parte in causa a definirsi «un bandito ricco» con difficoltà «a tirà fuori i soldi sennò me li levano».
Un’altra intercettazione di Buzzi autorizza il sospetto che Carminati abbia goduto in passato di alte protezioni in virtù di quel colpo al caveau della Banca di Roma del 1999 grazie al quale, fantasticava Buzzi, era venuto in possesso di informazioni tali da poter ricattare i magistrati. Molto più probabile che, se coperture ci sono state, derivassero da una qualche vicinanza ai servizi segreti. In fondo il depistaggio del gennaio 1981 per la strage di Bologna, per il quale furono condannati tutti i vertici dei servizi segreti, si basava anche su due mitra provenienti da quell’arsenale della banda della Magliana a cui Carminati aveva libero accesso.

Mentre corrono voci su un possibile e imminente allargamento dell’inchiesta alle attività della Regione Lazio, il prefetto di Roma Franco Gabrielli si trova di fronte a un doppio dilemma: cosa fare delle coop che si occupano di migranti e cosa del comune di Roma. Nel primo caso il commissariamento è annunciato: «Un provvedimento dovremo prenderlo quanto prima. L’unica prospettiva è il commissariamento». E a sera, ospite di Otto e Mezzo, il presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone riferisce: Poco meno di un’ora fa ho notificato l’apertura del procedimento per l’iter di commissariamento dell’appalto da 100 milioni alle cooperative coinvolte in Mafia Capitale per la gestione di alcuni servizi al Cara di Mineo». Nel caso del Campidoglio, la scelta sarà più ardua. Gabrielli non ne parla. Lo fa Cantone: «Commissariare Roma è ipotesi complicata. Bisogna dimostrare che le infiltrazioni abbiano inquinato la macchina amministrativa, che è enorme. Penso che il prefetto abbia un compito difficile».

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