La scomparsa di Burt Bacharach, lo scorso 8 febbraio, lascia un vuoto artistico incolmabile nel mondo della musica popolare. Dagli anni Sessanta, decennio in cui in coppia con il paroliere Hal David ha dato il meglio di sé, le note dei suoi pezzi si riverberano costantemente sul pop, sul soul, sul jazz; è stato omaggiato dal mondo della Motown, della Blue Note, i suoi pezzi sono stati rieseguiti da una sfilza di artisti e sono tutti incardinati nella memoria di intere generazioni: Magic Moments affidata a Perry Como, I Say a Little Prayer, Walk on By o Do You Know the Way to San Jose rese immortali dalla voce di Dionne Warwick, (There’s) Always Something there to Remind Me cantata da Lou Johnson e portata e in classifica da Sandie Shaw, What’s New Pussycat? cantata da Tom Jones, tema dell’omonimo film (Ciao Pussycat in italiano) e ancora What the World Needs Now Is Love con la voce di Jackie DeShannon, Alfie, la canzone preferita da Bacharach, portata al successo da Cilla Black, My Little Red Book eseguita dai Manfred Mann, The Look of Love resa famosa da Dusty Springfield, e presente nella colonna sonora di Casino Royale, tra le più avvincenti tra quelle realizzate dall’artista (occhio anche a The Blob, tema dell’omonimo film – in italiano Fluido mortale – da cui il titolo del programma tv nostrano, scritta con Mack David, il fratello di Hal), e si potrebbe andare avanti; il punto fondamentale, quando si parla di Bacharach, che ha anche inciso dischi a suo nome, è che le sue composizioni abbinate ai testi di David trascendono sempre l’interpretazione originaria, non si fermano mai a una data o a un’esecuzione specifica, ragion per cui la versione rutilante, tanto per fare un esempio, di Raindrops Keep Fallin’ on My Head del soul man Edwin Starr gareggia con l’originale di B. J.Thomas ascoltata in origine nel film Butch Cassidy.

UNA FOTO
Le composizioni di Bacharach non hanno tempo e dunque un unico esecutore, per questo il compositore è stato in grado di elevare il cosiddetto easy listening a capolavoro. E poi i testi di David. Come in I Say a Little Prayer in cui si racconta la preoccupazione di una donna per il suo uomo spedito in Vietnam, argomento molto intenso e drammatico in un contesto sonoro apparentemente così lieve, e questo è stato il tratto più caratteristico e caratterizzante dei pezzi di Burt Bacharach.
In particolare la sua influenza sul mondo del rock e del pop è stata enorme. La sua foto si intravede, ad esempio, in un angolo della copertina di Definetely Maybe, l’album con cui debuttano gli Oasis nel 1994 e già questo dice tutto; dai Blur ai Pizzicato Five e i musicisti del mondo lounge anni Novanta e oltre fino ad avanguardisti jazz come John Zorn, pochi sono gli artisti che hanno resistito al fascino del compositore americano. Gli Everything But The Girl rieseguiranno, ad esempio, Alfie; i Divine Comedy e gli Ash si cimenteranno con Make It Easy on Yourself portata in classifica dai Walker Brothers; e poi nomi come Prefab Sprout, Blow Monkeys o Aztec Camera che hanno metabolizzato nei loro brani le composizione di Bacharach. E i White Stripes che rieseguiranno I Just Don’t Know What to Do with Myself nell’album Elephant. Anche Alex Turner, cantante e chitarrista degli Arctic Monkeys ha omaggiato il compositore; con i Last Shadow Puppets, il gruppo con Miles Kane, pubblicherà una versione live di My Little Red Book. E questo è un brano particolarmente rilevante nella produzione di Bacharach; affidato ai Manfred Mann, gruppo al cuore della British Invasion, evidenzia come l’artista seppe intercettare negli anni Sessanta anche il mondo del beat; non solo, quando quel pezzo verrà rieseguito dagli americani Love il gruppo di Arthur Lee, si trasformerà in un classico furioso del garage rock.

CON COSTELLO
Importante anche il rapporto con Elvis Costello con cui Bacharach inciderà l’album Painted from Memory scaturito dopo aver composto insieme God Give Me Strength, pezzo dalla colonna sonora di Grace of My Heart (La grazia del mio cuore), film che un po’ racconta gli esordi come compositore di Bacharach a New York nelle stanze del Brill Building, edificio mitico sulla 49esima e Broadway con uffici e studi di registrazione in cui sono state scritte tra gli anni Cinquanta e Sessanta alcune tra le canzoni più note della musica popolare americana.
Da lì, ad esempio è partito il girl group sound, il suono delle Shirelles e delle Chiffons, delle Shangri-Las e dei cento altri gruppi di ragazze che fino al 1964, anno dello sbarco in America dei Beatles, imperversarono nelle classifiche Usa e non solo; al tempo le coppie di autori erano Gerry Goffin & Carole King, Jeff Barry & Ellie Greenwich, Barry Mann & Cynthia Weil, Neil Sedaka & Howie Greenfield, e ovviamente Burt Bacharach e il paroliere Hal David. Al cuore di Bacharach – che è stato anche direttore d’orchestra per Marlene Dietrich – anche il jazz, in particolare Dizzy Gillespie e il bebop, e poi Broadway e il rock’n’roll, la canzone popolare americana e Debussy; e soprattutto Darius Milhaud, importantissimo compositore francese con cui Bacharach aveva studiato imparando – come raccontava nelle interviste – che «non devo mai aver paura di una melodia facile».

CON DIONNE
Con Milhaud, studieranno anche Dave Brubeck, Philip Glass, Steve Reich o Stockhausen tanto per capire da dove arrivavano quelle canzoni di Bacharach apparentemente così lievi e in realtà così complesse. Tra queste Walk on By, forse il pezzo più rappresentativo dell’artista così come Dionne Warwick, alla cui voce verrà affidato il brano, è stata «la» cantante di Bacharach e David. «La voce perfetta per i nostri pezzi – dirà il compositore -. Non solo per l’estensione vocale, anche per quella emotiva; capace di essere delicata e anche esplosiva».

IN RADIO
Walk on By esce nel 1964 e in origine doveva essere – secondo la casa discografica – un semplice lato B di un 45 giri, poi il noto conduttore radiofonico newyorkese Murray The K comincerà a trasmettere il pezzo e il destino della canzone cambierà drasticamente.
Il testo racconta di una donna chiusa nel suo dolore dopo che il partner l’ha abbandonata; le resta l’orgoglio, nasconde le lacrime, non vuole che lui le veda e gli chiede di non fermarsi: continua a camminare. Bacharach e Hal David, scomparso nel 2012, erano unici, diversi da tutti, non legati – come tanti altri autori – all’idea di pezzo facile facile, adolescenziale, da classifica, piuttosto le musiche di Bacharach, e questa è stata la sua più evidente caratteristica, erano caratterizzate da ritmi inattesi, armonie complesse, repentini cambiamenti di tempo e sottili dissonanze. E poi i testi, appunto, in cui attraverso la tecnica dell’«understatement» – ossia la tendenza a minimizzare cose importanti in realtà per accentuarle – venivano raccontate in modo credibile, semplice e di grande impatto emotivo storie di amori adulti. David era in grado di lasciare affiorare la poesia dal linguaggio di tutti i giorni; certe volte succedeva subito, come in I’ll never Fall in Love Again, scritta in un colpo, in un giorno; altre volte poteva volerci un’eternità come nel caso di What the World Needs Now Is Love: impiegherà due anni per trovare il bridge, il ponte giusto, ossia quell’inciso musicale che serve a collegare due sezioni di un brano, quella magica sezione che rappresenta un punto di transizione/collegamento tra strofa e ritornello. Non tutti i pezzi di David raccontano di amori, alcuni sono ammantati di una spiritualità che non è facile trovare nel pop. Proprio What the World Needs Now Is Love assomiglia a una preghiera e così I Say a Little Prayer, una ballata romantica imbevuta di immagini religiose. In Alfie, poi, David riflette su questioni come mortalità e salvezza arrivando alla conclusione che l’amore è «qualcosa a cui anche chi non crede può credere».

QUEI RACCONTI
E proprio il tocco magico di Bacharach contribuirà a rendere i racconti di Hal David meno dolorosi, trasformandoli in cascate melodiche che piacevano sia ai fan di Sinatra che a quelli dei Beatles.
Bacharach come detto ha avuto anche l’enorme merito di trasformare e nobilitare l’easy listening, categoria omnicomprensiva che si impone negli anni Sessanta; parliamo di un termine di cui, a oggi, nessuno ha mai riconosciuto la paternità e di cui non si conoscono le origini e che, si sa, serve a indicare canzoni o pezzi strumentali leggeri e «di facile ascolto».
Bacharach non è mai stato troppo a suo agio con quella definizione, sapeva bene quanto fossero in realtà complesse quelle piccole, travolgenti canzoni, che componeva e che negli anni sono state riprese e tradotte in tantissime lingue. Brani che non hanno mai seguito mode o manie sonore e che proprio per questo continuano a essere sempre attualissime.