A volte sbilanciato verso il quasi, altre volte verso il non, e altre ancora verso il chissà, il forse che governa la vita della protagonista di Milkman, sorprendente romanzo della scrittrice irlandese Anna Burns (traduzione di Elvira Grassi, Keller editore, pp. 451, euro 19,50) si porta dietro una categoria della «forsitudine» che non pretende nulla di filosofico e men che mai condivide la sempreverde moda letteraria della precarietà esistenziale, con relativo indugio sul limite di una qualche frontiera identitaria, quando non direttamente sull’orlo di un abisso, ciò che seduce tanta critica del XXI secolo, in perenne adescamento di lettori sentimentalmente...