Cultura

Buone cristiane in Africa

Buone cristiane in AfricaScholastique Mukasonga

Narrativa Scholastique Mukasonga approda in Italia, presso l'Institut Français di Roma il 25 febbraio, con l'ultimo romanzo «Nostra Signora del Nilo», appena uscito per 66thand2nd

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 22 febbraio 2014

Ospite del Festival de la Fiction Francais il prossimo 25 febbraio (presso l’Institut français, Centre Saint-Louis, largo Toniolo 20/22, Roma, ore 19.00), Scholastique Mukasonga approda in Italia per la prima volta con il suo terzo romanzo, Nostra Signora del Nilo (Gallimard 2012) già vincitore del Prix Renaudot e del Prix Ahmadou Kourouma, appena uscito nel nostro paese per la casa editrice 66thand2nd, in traduzione dal francese di Stefania Ricciardi.

A vent’anni dall’orribile massacro del popolo tutsi avvenuto in Ruanda tra il 6 aprile e il 19 luglio del 1994 – perpetrato dagli hutu in 100 giorni di follia sterminatrice durante i quali un milione di individui persero la vita e altrettanti furono messi in fuga – l’autrice ruandese parlerà del genocidio che colpì pesantemente anche la sua famiglia, uccidendone trentasette membri, ma anche di riconciliazione, di responsabilità e del futuro del suo paese, da cui riuscì a fuggire in giovane età riparando prima in Burundi e poi in Francia, dove vive dal 1992 e dove soprattutto scrive «per dar degna sepoltura ai morti e dignità ai vivi».

La vicenda si svolge negli anni Settanta in un liceo femminile a 2500 metri di altezza, nei pressi di una presunta sorgente del Nilo a cui le studentesse vanno in pellegrinaggio ogni anno a maggio, nel mese di Maria, per venerare la Nostra Signora del Nilo, vergine nera dai tratti troppo tutsi e per questo foriera di grandi sventure e odi separatisti.

Prescelte per rappresentare l’avanguardia del progresso femminile, figlie di ministri, militari d’alto rango, uomini d’affari e ricchi commercianti, le ragazze vanno fiere del loro valore come merce di scambio per matrimoni politici nei quali dovranno essere buone mogli e buone madri, ma anche buone cittadine e buone cristiane: «in dote, le famiglie non avranno solo mucche o boccali di birra tradizionali, ma anche valigie traboccanti di banconote, un cospicuo conto in banca alla Belgolaise di Nairobi o di Bruxelles. Grazie a loro, la famiglia si arricchirà, il clan consoliderà la sua potenza, la dinastia espanderà il suo dominio».

Ritratto vivido di un’Africa coloniale cristianizzata, le giovani studentesse rappresentano quella nuova élite femminile destinata a diventare un modello per tutte le donne del Ruanda della prima repubblica hutu e a giocare un ruolo importante nell’emancipazione del popolo ruandese. Il francese è l’unica lingua autorizzata, poiché, soprattutto in un liceo dedicato alla Vergine Maria, bisognava bandire ogni parola di swahili, la lingua deplorevole parlata dai seguaci di Maometto, ma anche i costumi devono essere rigorosamente quelli dei bianchi, ritenuti emblema di civiltà e unica via di accesso allo sviluppo democratico del paese.

Eppure, sotto una superficie di apparente candore e stretti codici morali, si annida lo spettro sovversivo della devianza e il retaggio separatista dell’antropologia razzista di stampo ottocentesco, che porteranno nefaste conseguenze nel microcosmo del liceo, anticipazione della devastazione nazionale che di lì a vent’anni avrebbe sconvolto l’intero paese.

Su questi stessi fatti, in maniera più direttamente autobiografica, si costruiscono le prime due opere della Mukasonga: La femme aux pieds nus (La donna dai piedi nudi, Gallimard 2012), dedicato alla madre dell’autrice stessa, e l’autobiografia Inyenzi ou les cafards (Inyenzi o gli scarafaggi – come venivano chiamati i tutsi, Gallimard 2006).

 

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