Buio sulla manovra. Voto nella notte su un testo fantasma
Il fattaccio Il maxiemendamento del governo che riscrive la legge di bilancio arriverà in Senato solo oggi pomeriggio e solo in aula. Fiducia a mezzanotte. Ira delle opposizioni: Pd e Leu abbandonano la commissione. L’Ok della camera prima di Natale
Il fattaccio Il maxiemendamento del governo che riscrive la legge di bilancio arriverà in Senato solo oggi pomeriggio e solo in aula. Fiducia a mezzanotte. Ira delle opposizioni: Pd e Leu abbandonano la commissione. L’Ok della camera prima di Natale
«Ma cosa dobbiamo fare presidente, me lo dica lei? I lavori non sono ultimati, il maxiemendamento non è pronto», a metà di un ulteriore pomeriggio da incubo, al Senato, il presidente della commissione Bilancio Daniele Pesco, 5 Stelle, getta la spugna. Il maxiemendamento atteso per mercoledì pomeriggio, poi per mercoledì sera, poi per ieri mattina, pomeriggio e sera, il tutto dopo una settimana di precedente attesa, ancora non c’è. Il Pd ha abbandonato la commissione. «E’ un’umiliazione per il Parlamento», spiega il capogruppo dem in commissione, Antonio Misiani. Il collega di Leu Vasco Errani lo aveva preceduto: «Restare qui sarebbe insensato».
PER RISPONDERE alla domanda dello smarrito Pesco la presidente del Senato Elisabetta Casellati convoca la capigruppo. Allora questo maxiemendamento arriva? L’ultima promessa è che sarà immancabilmente in aula oggi alle 16. Per la commissione non passerà proprio: in aula senza relatore e rompete le righe. Ma anche lì non sarà mica possibile discuterlo ed emendarlo. Qualche ora di discussione generale sulla fiducia e per le 22 è già stata convocata la diretta televisiva. A mezzanotte circa il voto e non se ne parli più. Oddio, la Camera dovrà riparlarne, ma di corsa in modo da chiudere i battenti prima di Natale. Nessun problema: con la fiducia e passa la paura.
In aula la capogruppo di Leu Loredana De Petris esplode: «E’ inaudito e scandaloso». Denuncia il parlamento ridotto a uno zerbino mentre i vicepremier Salvini e Di Maio ingannano la giornata facendo propaganda sui social. L’ira delle opposizioni è più che giustificata. L’esproprio delle prerogative del parlamento, stavolta, è totale. Il bello è che appena due giorni prima, nella stessa aula, il ministro Riccardo Fraccaro aveva giurato che la commissione avrebbe avuto modo di discutere il fantomatico testo e che l’aula si sarebbe riunita solo se la commissione avesse «esaurito i lavori». Non sia mai detto che Il Movimento 5 Stelle disprezza il parlamento! Ma si sa che i giuramenti del governo vanno presi con beneficio d’inventario: Se «non arretreremo di un millimetro» si traduce in genuflessione e rinuncia a una trentina e passa di miliardi, perché stupirsi se, quando il ministro promette che la commissione avrà modo di discutere un testo, intende che ne potrà parlare per sentito dire e come si fa tra amici, giusto per ammazzare il tempo?
Oggi comunque il maxiemendamento arriverà davvero. Il parlamento voterà a scatola chiusa, i soci contraenti, assenti durante il discorso del premier Luigi Conte di mercoledì, stavolta ci saranno e canteranno vittoria. Ma per capire cosa siano davvero quota 100 e il reddito di cittadinanza bisognerà aspettare ancora un po’.
INVECE PER CONOSCERE l’esito finale della partita con l’Europa bisognerà aspettare molto di più. E’ infatti evidente che le condizioni imposte da Bruxelles prevedono di tenere sotto tiro il governo italiano per tutto il 2019. In gennaio è fissata la verifica dei provvedimenti: se non corrisponderanno alla lettera a quelli concordati scatterà la procedura d’infrazione per ora evitata. Nei mesi successivi la commissione europea terrà gli occhi sgranati sui conti italiani, pronta a chiedere una prevedibile manovra correttiva dopo maggio, quando le elezioni saranno alle spalle. Il momento della verità arriverà con la prossima manovra, in autunno.
Le condizioni, su quel fronte, sono draconiane. La clausola di garanzia comporta infatti un aumento dell’Iva intorno ai 26 miliardi. Il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti ieri ha ricordato, giustamente, che quella clausola è ricorrente, un espediente per aggirare il rigore da non prendersi troppo sul serio. «Finché al governo ci siamo noi, l’Iva non aumenterà», giura Luigi Di Maio. La nota dolente è che stavolta la richiesta è tassativa, l’aumento dovrebbe essere inserito già nel Def oppure, in sostituzione, dovrebbero essere segnalate le misure che permettono di sterilizzarlo.
Inoltre l’aver portato a 0 il deficit strutturale per il 2019 implica che non sarà possibile muoversi ancora in deficit. La mano finale, insomma, si giocherà tra un anno, su un tavolo che la commissione ha già apparecchiato.
LA SPERANZA DEL GOVERNO è che le elezioni europee di maggio cambino tutto. Ma proprio l’atteggiamento dei Paesi «sovranisti» nei mesi scorsi indica che l’eventuale cambiamento potrebbe non essere un bene per l’Italia.
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