Internazionale

B’Tselem senza precedenti: «Israele regime di apartheid»

B’Tselem senza  precedenti: «Israele regime di apartheid»L’insediamento coloniale israeliano di Ma'ale Efrayim nella Valle del Giordano occupata – Ap

Israele L’ ultimo rapporto dell’ong ebraica per i diritti umani: «Non c’è metro quadrato tra il fiume Giordano e il Mediterraneo in cui un palestinese e un ebreo siano uguali». Forti reazioni contrarie: siamo ai limiti dell'antisemitismo

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 14 gennaio 2021
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Pensiamo che le persone debbano svegliarsi, affrontare la realtà e smettere di parlare in termini futuri di qualcosa che è già accaduto». Hagai El-Ad, direttore esecutivo di B’Tselem, termina così la presentazione del rapporto su Israele, «Un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: questo è l’apartheid», presentato due giorni dalla sua organizzazione considerata il più importante centro israeliano per i diritti umani. Parole che non lasciano spazio alle interpretazioni e che per questo hanno provocato reazioni a raffica. Mai B’Tselem, una ong ebraica, era giunta al punto di descrivere lo Stato di Israele come un «regime di apartheid» pur avendo in passato usato questa definizione per spiegare alcune situazioni specifiche nei Territori palestinesi occupati. Ora riferisce l’apartheid a tutto il territorio che controlla Israele. Secco il giudizio di Eugene Kontorovich, capo del Forum Kohelet per la legge internazionale, che accusa B’Tselem di essere giunta al limite dell’antisemitismo.

L’analisi di B’Tselem, spesso presa di mira dalla destra, è semplice. Oltre 14 milioni di persone, spiega il rapporto, vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, metà ebrei e metà palestinesi. L’area, si dice di solito, è divisa in due sistemi separati: entro i confini di Israele c’è un regime democratico che governa circa nove milioni di persone, ebrei e arabi, tutti cittadini israeliani, mentre nei Territori occupati nel 1967 c’è un regime militare che amministra circa cinque milioni di palestinesi. Una distinzione che ignora fatti cruciali, afferma B’Tselem. Questa realtà «temporanea» seguita alla guerra dei Sei Giorni persiste da più di 50 anni. Centinaia di migliaia di ebrei sono stati insediati in più di 280 colonie in Cisgiordania; Israele ha de jure annesso Gerusalemme Est e de facto il resto della Cisgiordania. Più di tutto, sostiene B’Tselem, l’intera area è organizzata secondo un principio: avanzare e perpetuare la supremazia di un gruppo, gli ebrei, su un altro, i palestinesi.

L’ong fa riferimento anche alla legge fondamentale «Israele-Stato della nazione ebraica» approvata dalla Knesset nel 2018. Secondo voci autorevoli, anche ebraiche, la legge sancisce l’appartenenza di Israele agli ebrei e non a tutti i suoi cittadini istituzionalizzando la discriminazione contro le minoranze, a cominciare dagli arabo israeliani (i palestinesi con cittadinanza israeliana, il 21% della popolazione). «Ha preso la discriminazione esistente e l’ha trasformata in un principio costituzionale», afferma Hagai El-Ad. Israele, aggiunge, si considera una democrazia in cui i cittadini arabi hanno gli stessi diritti degli ebrei ma in realtà affrontano ancora una grave discriminazione. «Non stiamo dicendo che il grado di discriminazione sia lo stesso se un palestinese è cittadino di Israele o se è assediato a Gaza» precisa El-Ad «il punto è che non c’è un solo metro quadrato tra il fiume e il mare in cui un palestinese e un ebreo siano uguali». L’anno scorso Peter Beinart, un noto intellettuale ebreo americano che si è sempre definito un sionista, suscitò lo stesso clamore pronunciandosi a favore di un stato binazionale con uguali diritti per ebrei e palestinesi e per il superamento della definizione di Stato ebraico che Israele si è dato dalla sua fondazione nel 1948 ad oggi.

Alon Pinkas, un ex console generale israeliano, respinge con forza le tesi di B’Tselem. «Occupazione, sì. Apartheid no» afferma. Quindi si dice sicuro che, dopo il rapporto del centro per i diritti umani, i critici di Israele che si erano astenuti dall’usare il termine apartheid ora diranno «sai, lo stanno usando gli stessi israeliani». Anche il rabbino Rick Jacobs, capo dell’Unione per il giudaismo riformato, condanna B’Tselem e avverte che l’accusa di apartheid rappresenta un critica che mette in dubbio l’esistenza stessa di Israele. Per i palestinesi il rapporto al contrario illustra una verità evidente. «Non c’è uno Stato che più di Israele dimostri la sua politica di apartheid» dice l’ex ministro degli esteri Nabil Shaath «attraverso occupazioni e confische di terre, la costruzione di colonie e negando i diritti ai palestinesi».

 

 

 

 

 

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