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Bryan Ferry, l’iconoclasta del pop terribilmente chic

Bryan Ferry, l’iconoclasta del pop  terribilmente chicBryan Ferry

Note sparse Licenziato dalla BMG, Live At The Royal Albert Hall 1974 cattura una delle tappe più intriganti del percorso ferryano, quella dei suoi 2 primi album solisti

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 1 aprile 2020

Licenziato dalla BMG, Live At The Royal Albert Hall 1974 cattura una delle tappe più intriganti del percorso ferryano, quella dei suoi 2 primi album solisti, These Foolish Things e Another Time, Another Place, che ispirano la performance. In questi ultimi Ferry sperimenta infatti, nell’arte della cover, il postmodernismo selvaggio maturato con i Roxy Music, È il 1973 quando esce These Foolish Things, che reinterpreta soprattutto canzoni jazz, r&b e country-folk dagli anni ’30 ai ’60, quelle «venute prima di Dylan e dei Beatles», non solo in senso cronologico ma anche culturale, che l’artista predilige. Realizzare un album di cover in un’epoca di rigore cantautorale è già di per sé uno schiaffo ai musicisti e giornalisti «seri», che pongono come valore essenziale l’«autenticità»; figuriamoci proporre come singolo l’emblematica ballata generazionale A Hard Rain’s A-Gonna Fall di Dylan con un andamento anfetaminico e un arrangiamento semicabarettistico.

MA ANCHE se non raggiunge lo stesso livello di genio in altre reinterpretazioni, a Ferry altrove il gioco dissacrante riesce perfettamente, ad esempio nella ripresa di These Foolish Things (Remind Me Of You), resa celebre da Bille Holiday o di The ’In’ Crowd, interpretata originalmente dal soul singer Dobie Gray. Il terzo album della serie esce quando si sono ormai sciolti (o sono stati messi in pausa) i Roxy Music: Let’s Stick Together (’76) è più una raccolta di singoli e B Side che un lp vero e proprio, e affianca a cover anche molto riuscite come la title-track (del cantante r&b Wilbert Harrison) a rifacimenti di pezzi scritti per i Roxy Music. Ma le vendite vanno peggio del previsto e non miglioreranno con i successivi lavori. prevalentemente composti da inediti. Riformatisi alla fine degli anni ’70, i Roxy Music ripartono dagli spunti funky di Siren per confezionare, nel giro di 3 album, uno stile pop-dance impalpabile, di un’eleganza assoluta, che influenzerà molto la new wave. La perfezione viene raggiunta nel dilatato e minimale Avalon (’82), dopo il quale Ferry scioglie il gruppo, Di Avalon quest’ultimo continuerà a variare e affinare la formula, in un infinito gioco di rimandi, nei suoi album solisti di inediti, con un sound spesso vertiginosamente manipolato e dettagliato. Accade specialmente in Mamouna (’94), Olympia (’10), che vede Eno ai synth, e Avonmore (’14). Ma la tradizione degli album di cover non verrà abbandonata, semmai rinnovata in varie formule talora sorprendenti, come quella di As Time Goes By (’99). un raffinato omaggio a Tin Pan Alley e alla musica jazz dei primordi. L’amore sconfinato che Ferry nutre per la popular music lo spinge ciclicamente verso l’arte della riformulazione trasgressiva e al tempo stesso impeccabile della forma-canzone.

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