Europa

Bruxelles, la corsa ai fondi ferma ai blocchi di partenza

Bruxelles, la corsa ai fondi ferma ai blocchi di partenza

Next Generation Eu Veti incrociati sulla ripresa. Per il momento 13 paesi su 27 hanno votato la decisione sulle Risorse proprie mentre solo 6 hanno completato la procedura di ratifica. I «frugali» – Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, a cui si è aggiunta la Finlandia – sono in ritardo

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 1 aprile 2021

La strada per il Recovery Fund resta in salita e piena di ostacoli, a mesi dal lancio nel luglio 2020. Sarà difficile che i primi finanziamenti arrivino «entro metà anno», come auspica Antonio Costa, primo ministro del Portogallo che ha la presidenza semestrale del Consiglio Ue.

Il Next Generation Eu è stato concepito come lo strumento, temporaneo, per tirar fuori la Ue dalla crisi del Covid: i 750 miliardi di prestito comune (312 di sovvenzioni, 360 di prestiti), un’assoluta novità, sono stati addossati al bilancio pluriannuale della Ue, più di mille miliardi per il periodo 2021-2027, portando l’intervento complessivo a più di 1800 miliardi.

Di fronte alle cifre enormi che vengono dagli Usa di Biden, che ieri ha annunciato un maxi piano da 2.250 miliardi di dollari «per riportare l’America al dinamismo degli anni ’60», già alcuni leader europei premono per rivedere al rialzo l’intervento: Emmanuel Macron invita a «una risposta più vigorosa», per Mario Draghi deve essere «fatto di più». Ma il Recovery è di fronte a molteplici muri. Il principale scoglio che si erge di fronte all’attuazione del piano di rilancio sono le campagne di vaccinazione, che in tutta Europa continuano a procedere al rallentatore, per la penuria di dosi.

Se lo stop and go continua, se l’economia europea resta frenata dai lockdown, è difficile ripartire. «Siamo chiari – ha detto qualche giorno fa il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire – non possiamo avere un rilancio economico negli Usa e l’Europa che si chiude, sarebbe inaccettabile». La Commissione si attiva per la produzione di vaccini, sono stati individuati 53 stabilimenti nei 27 paesi.

Un nuovo ostacolo si è alzato ieri in modo indiretto per il varo del Recovery: la Commissione ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia contro la Polonia, sempre per il non rispetto dell’indipendenza della giustizia. Bruxelles chiede alla Corte di Giustizia di applicare misure provvisorie contro Varsavia in attesa di una sentenza definitiva. Qui torna in ballo la questione della «condizionalità» del Next Generation, cioè del legame tra versamento dei finanziamenti e rispetto dello stato di diritto.

Polonia e Ungheria, entrambi sotto accusa da tempo in base all’articolo 7, lo scorso autunno avevano fatto slittare al Consiglio l’approvazione del pacchetto Next Generation-budget pluriannuale di qualche settimana, perché rifiutavano la «condizionalità». Al vertice di dicembre ne era uscito un compromesso, che, senza eliminare la «condizionalità» la rendeva vaga nell’immediato.

Ma questa clausola è estremamente importante per molti paesi, tra cui ci sono i «frugali», cioè i meno entusiasti del prestito comune e della solidarietà del debito. Per questo il braccio di ferro sulla «condizionalità» può rallentare i versamenti del Recovery. Difatti, i «frugali» sono tra i paesi che non hanno ancora ratificato il «pacchetto» Next Generation e budget pluriannuale (che comporta nuove risorse proprie, quindi impegna denaro da parte dei paesi membri).

Il budget pluriennale è la base giuridica del finanziamento eccezionale del Next Generation Eu. La scorsa settimana, la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha invitato i 27 a «non procrastinare» le ratifiche. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, mette fretta, dopo il voto positivo, a larga maggioranza, del Parlamento europeo il 10 febbraio.

Ma per il momento 13 paesi su 27 hanno votato la decisione sulle Risorse proprie (al 18 marzo: Belgio, Bulgaria, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia), mentre solo 6 hanno completato la procedura di ratifica (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Croazia, Grecia, Lettonia). I «frugali» – Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, a cui si è aggiunta la Finlandia – sono in ritardo.

Un colpo di freno è venuto venerdi’ scorso dalla Germania, dove Bundestag e Bundesrat hanno approvato il «pacchetto» finanziario, ma la Corte costituzionale di Karlsruhe ha bloccato la firma del presidente della Repubblica, in seguito a un ricorso di un gruppo di cittadini fomentati dall’estrema destra (perché considerano anti-costituzionale la solidarietà con altri paesi).

L’attesa della decisione di Karlsruhe allunga quindi ancora i tempi. Mentre la Ue rischia un’esplosione di fallimenti e disoccupazione come conseguenza del Covid, mette in guardia Luca Visentini, segretario generale della Confederazione dei sindacati europei.

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