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Brutti, sporchi e cattivi, questi cronisti

Ri-mediamo Una ventina, tra croniste e cronisti, con la scorta di primo livello; 180 sotto tutela. È la punta dell’iceberg di un clima orrendo e pericoloso che ha investito l’informazione. Accanto […]

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 26 agosto 2020

Una ventina, tra croniste e cronisti, con la scorta di primo livello; 180 sotto tutela. È la punta dell’iceberg di un clima orrendo e pericoloso che ha investito l’informazione. Accanto alla censura più classica, agli effetti omologanti delle concentrazioni editoriali, è da tempo entrata in scena la violenza. Giornaliste e giornalisti fatti oggetto di minacce e di aggressioni, di insulti e attacchi, di querele temerarie. È lo scenario che ci si presenta in quest’era di passaggio tra l’età analogica e quella digitale, dove il lavoro precario ha preso il sopravvento al punto da rendere debole ed esposta la categoria. Per fortuna, una cospicua componente professionale tiene la schiena dritta, fino ad esporsi a reazioni inquietanti e pericolose.

Un caso di scuola, purtroppo, è ciò che è avvenuto dopo la puntuale controinformazione operata da Angela Caponnetto di Rainews24 e da Nello Scavo dell’Avvenire sulla fake dei cani mangiati dai migranti. Urla viscerali sui social, corredati dal consueto linguaggio contro le donne. Il presidente della federazione della stampa, nonché fondatore dell’associazione «Articolo21», Giuseppe Giulietti, è finito nel mirino. Naturalmente, si sono scatenate anche le reazioni positive, a cominciare da quella del segretario del sindacato Raffaele Lorusso. Ma non solo. È cresciuto un moto spontaneo di movimenti e associazioni legati ormai ad «Articolo21» da un network vasto e fortissimo, di cui l’iniziativa tenutasi lo scorso febbraio presso la sede de la «Civiltà cattolica» a Roma («Le parole non sono pietre») fu un solido esempio. Ed è la capillarità e trasversalità di simile rete a provocare atteggiamenti così stizziti e provocatori di un consesso che unisce nostalgie fasciste, destre, sovranismi di varie provenienze nonché consolidati leoni da tastiera.

È utile ricordare, se ce ne fosse bisogno, che la rete non estingue i reati, che tali sono e restano off line e on line. Del resto, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni emanò un anno fa un’importante delibera (157/19) contro l’hate speech, per la non discriminazione e la dignità umana.

Basterebbe applicarla, ricorrendo – se necessario- a misure coercitive. Neppure regge, davanti a simile scempio, il pur sacrosanto diritto all’anonimato (previsto dall’Internet Bill of Rights curato da Stefano Rodotà), immaginato per tutelare gli oppositori di un regime autoritario e non i comportamenti criminali. Sarebbe auspicabile, al riguardo, un’azione comune e concertata del Garante della privacy e dell’Agcom. Anche l’anonimato, peraltro legato a nobili origini letterarie – anonimo triestino, anonimo veneziano- in una stagione tanto brutale ha proprio perso ogni retaggio sentimentale. E neppure il ricorso a nomi fittizi, malgrado i successi di Elena Ferrante, oggi è un buon esempio di correttezza. E sì, perché occuparsi di vicende e inchieste difficili senza chiedere permesso ai poteri forti o persino eversivi fa correre seri rischi. Fisici, non solo ideali.

Se l’Italia continua a navigare nelle zone basse della classifica quanto a tasso di libertà di informazione è proprio per questo. La vicenda che vede protagonisti Giulietti e «Articolo21», insieme a decine di colleghe e colleghi, è – dunque- un epifenomeno di qualcosa di grande ed increscioso, che provoca ansia e brividi. Ci stiamo avvicinando a paesi come l’Ungheria, l’Iran, la Cina e la Russia? O Malta, dove di comunicazione si muore? Guai a sottovalutare i fatti. Chi ha studiato la catena della violenza può utilmente spiegare ch,e quando si sottovalutano i sintomi, il rischio nero incombe.

È necessario reagire. Ad esempio, alla maggioranza consiliare di Verona che ha deciso di querelare Paolo Berizzi per un tweet infelice, potremmo chiedere perché non fu fatto lo stesso contro coloro che cercarono di impedire allo stesso Berizzi di presentare il suo libro. Serve una iniziativa convinta, che vada al di là delle stesse azioni intraprese dal ministero degli interni.

La transizione verso una diversa epoca tecnologica richiede un salto di qualità nella coscienza e nella soggettività. Mai come ora il bene informazione è stato un bene comune da tutelare. Come recita la Costituzione repubblicana.

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