Bruno Traven e «la nave morta» di ogni apolide
Bruno Traven, Londra 1923
Cultura

Bruno Traven e «la nave morta» di ogni apolide

GEOGRAFIE A proposito del romanzo edito da Wom
Pubblicato 9 mesi faEdizione del 23 dicembre 2023

Che la biopolitica, nei primi decenni del Novecento e in particolare a ridosso della Prima guerra mondiale, abbia segnato un’epoca di crisi e ipertrofia parossistica lo ha ben mostrato la filosofia politica. Il romanzo d’esordio di Bruno Traven, La nave morta, scritto nel 1926 (Wom edizioni, pp. 346, euro 20.90, traduzione di Matteo Pinna), rappresenta questo scenario, con tratti ironici e drammatici capaci di restituire tutta l’assurdità del tempo. Un marinaio, essendosi attardato sulla terraferma in una casa chiusa, viene lasciato su suolo belga dalla nave sulla quale lavorava: i suoi averi assieme ai suoi documenti rimangono a bordo della nave, forse verranno venduti al miglior offerente al prossimo porto. Inizia così una serie di traversie, protagonista assoluta delle quali è la burocrazia, capace di invadere ogni aspetto della vita pubblica e privata.

PRIVO DI CERTIFICATO di navigazione, tutto ciò che può dimostrare la sua cittadinanza è il passaporto; senza questi, il marinaio è un apolide. Ma senza poter esibire nemmeno un certificato di nascita, agli occhi delle autorità, europee e consolari americane, perfino la sua stessa esistenza è dubbia, quasi che la sua presenza lì, in carne e ossa, non dimostrasse da sé il fatto di esser nato e vivere. Egli non è solo apolide perché privo di atti ufficiali che ne attestino la cittadinanza; egli è, kafkianamente, un apolide metafisico, la cui esistenza è ridotta a nuda vita, campo libero su cui il potere, la legge, la burocrazia, la polizia cercano costantemente di incidere la propria decisione. E se la Grande Guerra è stata combattuta «per la libertà e la democrazia», tutto ciò che resta della libertà è una massa di clandestini, fantasmi di fronte al potere che di essi può fare carne da macello. E così avviene in particolare per la costante richiesta di manodopera da impiegare sulla grande «nave morta», il Capitalismo, sempre alla ricerca di forza lavoro a buon mercato, di individui senza diritti da sfruttare, di scarti umani da reimpiegare nel processo produttivo.

IL CINISMO MILITANTE, con cui il personaggio di Traven ci descrive le assurdità che attraversa, ci fa sorridere a denti stretti, per la consapevolezza che i processi raccontati in questo romanzo hanno, oggi, compiuto un ulteriore giro di vite, fra vecchi e nuovi clandestini, fra vecchi e nuovi ordinamenti burocratici, fra sempre più efficienti strategie di sfruttamento delle vite umane e di estrazione di valore anche dagli aspetti più intimi e privati delle nostre esistenze. Tutto ciò, all’insegna di una libertà che sempre ci sfugge, sacrificata sull’altare della competizione spietata e di nuove forme di gerarchizzazione sociale.

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