Bruno Tommaso: «Fare musica è gioia che convive con il metodo»
Incontri Un album e un libro per il contrabbassista romano che si racconta tra composizione e didattica
Incontri Un album e un libro per il contrabbassista romano che si racconta tra composizione e didattica
Bruno Tommaso (contrabbassista, compositore, arrangiatore, didatta attivo dagli anni ‘70) si conferma una delle più importanti figure del jazz e della musica europea. A 77 anni continua a produrre e a seminare, a comporre e ad insegnare secondo una filosofia che abbina creatività e democrazia, rigore e genialità. Il suo più recente cd è Jazz Requiem Mass eseguita dall’Orchestra Jazz della Sardegna (prodotto dall’Associazione Blue Note). La rassegna Le vie del jazz 2023. Racconti del jazz italiano, organizzata a Roma dalla Scuola Popolare di Musica di Testaccio, ha visto la prima esecuzione capitolina del Requiem con la policroma Orchestra Giovanile di Jazz della Spmt diretta dal valente Mario Raja (voci, emozionanti, di Federica Raja e Marica Calogero, narrazione sapiente di Nicola Raffone). Il 24 ottobre uscirà il quaderno di studi per orchestra jazz a organico variabile La fabbrica dei suoni. In 85 pagine si condensa il lavoro didattico di una vita (Spmt, Siena Jazz, numerosi conservatori e infiniti seminari…), nella convinzione della propedeuticità della «gioia nel far musica insieme». Gioia che non esclude la serietà, che non nasconde «la difficoltà, ma semmai convive con la ricerca di metodologie atte ad affrontarle gradualmente. Con visione, lucidità, impegno», come ci racconta lo stesso Bruno Tommaso.
«Jazz Requiem Mass» – strutturata in 12 parti, testo che ricalca il messale cattolico post-tridentino, elaborato in latino, italiano ed inglese – è la sua ultima composizione incisa. Cosa la rende diversa da altri brani (il «Jazz Te Deum» di una ventina di anni fa) eppure «in linea» con la sua produzione, ispirata comunque alla non-ortodossia?
Il tema della spiritualità è sempre stato presente nel jazz e dintorni, spiritualità diversa ma altrettanto ispirata. Per quanto mi riguarda non è la prima volta. È l’ultima composizione che ho potuto scrivere a mano: per questo, e altri motivi, sono andato in profondità e con diverse divagazioni.
Ha sempre avuto un rapporto privilegiato con strutture musicali provenienti da diversi contesti sonori. Qui quanto è ‘dentro’ e ‘fuori’ da una messa da requiem?
Nella Messa convivono forme musicali di varia origine. Per me è normale. Ad esempio il tema antico del Dies Irae, attribuito a Tommaso da Celano, viene eseguito dalle voci a note lunghe, mentre sax e tromba suonano un altro tema sulla struttura di Blues for Alice (di Charlie Parker, ndr). Poi il primo tema viene riesposto dagli strumenti in forma di fugato. Nella Lacrymosa le armonie sono sviluppate dal popolare “El pueblo unido”: un omaggio a Salvador Allende
La sua visione musicale si è abbinata a quella politico-culturale. «Jazz Requiem Mass» nasce dalla sua riflessione sul ruolo del musicista-compositore nel nostro drammatico momento storico. Eppure contiene anche un messaggio di speranza.
Sicuramente i drammi e i lutti che ci hanno colpito sono stati ulteriori acceleratori verso la ricerca delle possibilità di dare un contributo a questa difficile situazione. Le ho studiate tutte e, data l’età e uno stato di forma non proprio smagliante, l’unica soluzione era mettersi al servizio della causa facendo semplicemente il proprio mestiere.
Il suo rapporto con la Scuola Popolare di Musica di Testaccio è lunghissimo e «fondativo». Può la Spmt ancora giocare un ruolo in una società del tutto trasformata dagli originari anni ’70? È persa la battaglia per una musica (ed educazione musicale) che sia fattore di democrazia concreta?
Per spiegare cosa rappresenta per me la Spmt riferisco un aneddoto: un mio ex alunno napoletano mi scrisse che avrebbe suonato al teatro Vittoria (a Testaccio). Gli risposi: «Se fai una passeggiata nei dintorni attento a dove metti i piedi: potresti inciampare nei lacerti del mio cuore». Sì, la Spmt è ancora utile nel – sia pur utopico – tentativo di combattere ignoranza, superficialità, omologazione, pregiudizi, barriere ecc. Se dovesse scomparire occorrerebbe inventarla.
Almeno due generazioni di musicisti italiani le devono molto, dal punto di vista formativo e didattico. Come è riuscito a produrre musica sempre valida partendo da organici/situazioni/contesti così diversi?
Il mio primo pensiero è sempre stato quello di non tentare di fare delle fotocopie di me stesso, ma di aiutare gli allievi ad individuare la strada giusta per esprimere la propria personalità e le proprie idee. Insegnare mi appassiona, sia negli aspetti esecutivi che del far musica insieme che del comporre (a questo o a quel livello). Mi sono sin dagli inizi spremuto il cervello per inventare degli stimoli atti a valorizzare la loro inventiva e il loro entusiasmo. Ci sono riuscito? Non spetta a me dirlo. In tal senso il mio ultimo sforzo è stata la pubblicazione de La fabbrica dei suoni.
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