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Brown, icone e segnali del Tardo antico

Brown, icone e segnali del Tardo anticoPannello in opus sectile con tigre che assale un vitello, IV sec. d.C., Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, dalla Basilica di Giunio Basso sull’Esquilino

Storia romana «Il mondo tardo antico» del britannico Peter Brown (Einaudi), è a suo modo un classico. Nel 1971 svegliò l’interesse critico verso un’epoca, tra 200 e 700 d.C., che era considerata solo lungo declino

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 22 ottobre 2017

Mettere a fuoco i contorni sfumati di un’epoca di trasformazione. Visualizzare e isolare piccoli e grandi segnali di cambiamento. Interpretarli con sensibilità e senza tralasciare alcun dettaglio. E così facendo dare un’identità e una coerenza a quel lungo periodo di mutamenti che va dal 200 d.C. fino a circa il 700 e che ha traghettato l’Europa e il Medio-Oriente verso il Medioevo: il Tardo Antico.
Una sfida difficile, intrapresa con successo da Peter Brown in Il mondo tardo antico Da Marco Aurelio a Maometto, ora ripubblicato da Einaudi («PBE Ns», traduzione di Maria Vittoria Malvano, pp. XVI-240, € 26,00), a cui già si doveva, nel 1974, la prima edizione italiana di questo classico, uscito a Londra per Thames and Hudson nel 1971 e poi nel 1989. Lo storico, professore emerito della Princeton University e autore di fondamentali contributi sulla religiosità e la società tardoantiche (sempre per Einaudi, da ricordare Agostino d’Ippona, 1971 e 2005; Religione e società nell’età di sant’Agostino, ’75; La società e il sacro nella tarda antichità, ’88; Il corpo e la società. Uomini, donne e astinenza sessuale nel primo cristianesimo, ’92 e 2010; Per la cruna di un ago. La ricchezza, la caduta di Roma e lo sviluppo del cristianesimo, 350-550 d.C., 2014; Il riscatto dell’anima. Aldilà e ricchezza nel primo cristianesimo occidentale, 2016), ha avuto il merito di svegliare l’interesse critico verso la tarda antichità, considerata un tempo solo un periodo di declino e ora, invece, fertile campo di ricerca per studiosi di storia, in particolare economica e sociale, ma anche di letterature antiche, di diritto romano, di storia delle religioni.
Brown accompagna il lettore in un viaggio appassionato attraverso i secoli durante i quali l’impero romano divenne cristiano e il Medio-Oriente musulmano; attento osservatore, egli mostra con chiarezza (fase dopo fase, secolo dopo secolo, e – soprattutto – simbolo dopo simbolo) quali elementi avrebbero separato mondi un tempo uniti da scambi intensi, spalancando un abisso attraverso il Mediterraneo.
Prima tappa è il II secolo d.C., il momento di massima espansione dell’impero romano, a cui segue non tanto (questa era l’interpretazione tradizionale) una lunga storia di decadenza e caduta, quanto piuttosto un periodo fervido (seppure non indolore) di cambiamenti e di spostamenti di confini ed equilibri. A tali mutamenti, comuni all’intero territorio occupato un tempo dall’impero, è dedicata la più ampia prima parte del volume («La rivoluzione tardo romana»). Nella seconda («Eredità divergenti») Brown si concentra su quegli elementi storico-culturali dai quali appare più chiaro il percorso di separazione tra l’Occidente di una nuova Roma aeterna, la Bisanzio (e poi, in parte, la Russia) delle liturgie e delle icone e il Medio-Oriente islamico.
Il mondo tardoantico è, anzitutto, un viaggio attraverso i luoghi. Le prime pagine sono dedicate al Mediterraneo, cuore dell’impero romano, e alla sua centralità prima reale (come arteria per il trasporto del cibo) e poi ideale: anche nel momento della sua massima espansione, l’impero aveva l’illusione di essere un mondo piccolo, da cui proveniva l’aristocrazia cosmopolita, ma uniforme, che ne dominò per lungo tempo ogni parte. C’è poi Roma, città che proprio durante la tarda antichità perse importanza; la storia, con la destituzione degli imperatori d’Occidente (476) sembrava condannarla all’oblio, ma proprio allora il mito della sua eternità acquistò nuova linfa: sulle monete comparvero i gemelli allattati dalla lupa con il motto Roma invicta e ancora alle soglie del Medioevo l’oligarchia clericale mostrava di aver ereditato rituali e simboli senatòri e pregava per la romana libertas: «l’amore del senatore tardo romano per la Roma aeterna era venuto a posarsi sulla facciata solenne della Roma papale». A est il viaggio prosegue verso Costantinopoli, che, nata come la nuova Roma, passò a essere la «città santa» di una chiesa pacificata, in cui le cerimonie tradizionali del passato romano vennero abbandonate e Giustiniano fece riedificare una sontuosa Hagia Sofia. Infine, si giunge presso i luoghi degli Arabi: prima la Mecca e Medina, città in via di sviluppo caratterizzate da forti tensioni tra chi seguiva ancora uno stile di vita tribale e la nuova oligarchia mercantile (la litigiosità, risolta da Maometto grazie alla comune appartenenza alla nuova religione, fu portata verso l’esterno e furono presto conquistate città importanti come Damasco e Alessandria); poi, soprattutto, Baghdad, la ricca e bellissima città dalle mura circolari, dopo la cui fondazione si affermò l’amministrazione organizzata e costosa dell’impero islamico, e così si arrestò «la macchina da guerra araba».
Dopo i luoghi, i personaggi, a cui sovente la citazione diretta di testi offre una straordinaria vitalità. Per citarne alcuni: Costantino, definito come un «apologeta cristiano incoronato» e un prestigiatore, la cui conversione (comunque la si intenda) fu resa possibile dalla precedente conversione del Cristianesimo alla cultura e agli ideali di Roma; Simmaco, «un aristocratico che si studia di prolungare in ogni modo il lauto meriggio estivo della vita romana» e l’«involontario costruttore del papato medievale»; Giustiniano l’autocrate e sua moglie Teodora; ma ancora Plotino, Ambrogio, Agostino, e più a Oriente Cosroe I e II, Maometto, Harun ar-Rashid.
Brown interpreta luoghi e persone utilizzando alcune chiavi di lettura che si intersecano e si chiariscono vicendevolmente. La prima è quella storico-economica: illuminanti, per esempio, le sue considerazioni sui sistemi di tassazione, sugli scambi commerciali, sull’economia alimentare. La seconda è quella sociologica, alla luce della quale legge anche le questioni religiose: sono stimolanti, in questo senso, le pagine relative al legame tra l’individualismo, sviluppatosi in un mondo in rapida trasformazione, e l’affermazione di un rapporto col divino inteso in termini di ‘rivelazione’.
Elemento sostanziale di questo volume è il suo carattere visivo. Le illustrazioni, accompagnate da ricche didascalie, sono parte integrante dell’argomentazione. Le opere d’arte costituiscono una chiave privilegiata per la lettura immediata dello Zeitgeist; basti un solo esempio, l’icona, simbolo potente di fronte al quale «rimaniamo a faccia a faccia con una figura isolata sul luccicante mosaico d’oro». La visualità, inoltre, caratterizza fortemente il linguaggio stesso del libro, ricco di metafore concrete e immagini efficaci, come quella con cui Brown rappresenta la visione del mondo dei pensatori elleni tardoantichi, che conciliarono l’eredità filosofica classica e il pensiero cristiano rimettendo al centro il rapporto tra le cose visibili e invisibili: «essi consideravano il mondo, e il rapporto di questo con dio, come uno yo-yo che rotola rapidamente su e giù lungo un filo».
Leggendo Il mondo tardoantico, non si può non apprezzare la modernità di questo periodo storico, presentato come un momento durante il quale ci si trovò ad affrontare in maniera assillante questioni comuni a ogni società civile: «Come basarsi su un passato imponente senza reprimere i mutamenti. Come trasformarsi senza perdere le proprie radici. E soprattutto, come trattare quello che vi è di estraneo in noi: uomini esclusi da una società tradizionalmente aristocratica, concetti che non trovano espressione in una cultura tradizionale, bisogni non formulati nella religione convenzionale, lo straniero che viene da oltre confine».

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