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Broch, disillusioni superate tramite nuove illusioni

Broch, disillusioni superate tramite nuove illusioniOskar Kokoshka, «Uomo vestito», 1910

Scrittori austriaci Seconda parte della trilogia dei «Sonnambuli», «1903 Esch o L’anarchia» è il romanzo dell’età del nichilismo, un capolavoro di equilibrio umoristico e sentimentale: ritradotto da Adelphi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 19 marzo 2023

Ladislao Mittner, padre della germanistica italiana e ultimo uomo al mondo capace di scrivere una storia della letteratura tedesca conoscendone uno per uno tutti i testi dai primi documenti in volgare a Peter Handke, considerava la vicenda su cui è centrato il secondo volume dei Sonnambuli di Broch «una delle storie d’amore più sorprendenti, ma anche più umane» del Novecento. Effettivamente il lungo inseguimento del contabile Esch alla matura vedova «mamma» Hentjen, proprietaria di un’osteria nella quale passa il suo tempo a servire pasti abbondanti a buon prezzo e a respingere le non rare avances dei suoi pretendenti è davvero un capolavoro di equilibrio umoristico e sentimentale, nel quale Broch dispiega un ritratto impareggiabile delle ultime possibilità concesse al sogno e al desiderio di un’esistenza più piena e più libera in una realtà che mostra sempre più evidenti i segni del suo  disfacimento morale, umano e politico. Ma il colpo di genio che rende questo romanzo, non per nulla caro a Milan Kundera e dopo di lui a tanti lettori, un capolavoro assoluto di tutto il modernismo letterario è la figura del suo protagonista, August Esch, uno dei più memorabili eroi imperfetti di Broch. Qualunquista e idealista, puttaniere infaticabile innamorato ciecamente di una sola donna, dilapidatore di patrimoni suoi e altrui in imprese teatrali di quart’ordine e contabile di onestà immacolata, razzista, forse, e certamente misantropo, ma desideroso di vivere in un mondo in cui dominino equità, libertà e giustizia, Esch è uno Zeno Cosini al quadrato, espressione memorabile di ogni possibile contraddizione e, insieme, redentore, nel suo piccolo, di ogni disperato, fallito o sfruttato in cui gli capiti di imbattersi.

«Sei rimasto il solito vecchio confusionario», gli dice Martin, l’anarchico invalido ingiustamente arrestato che Esch vorrebbe riscattare con un delitto o almeno con una delazione; e in effetti la sua natura lo porta a scorgere profonde, misteriose e sconclusionate relazioni fra tutte le persone che lo circondano, i rari avvenimenti della sua vita e le fantastiche aspirazioni che nutre con incrollabile fiducia. In quello strano omogeneizzatore di pensieri che è la sua testa Esch ha alcuni problemi e vorrebbe risolverli tutti insieme: farla pagare ai commercianti che lo hanno licenziato per coprire loschi traffici e agli imprenditori che sfruttano e ingannano i lavoratori, liberare l’ungherese Ilona, partner di un lanciatore di coltelli, dalla miseria della sua vita, sposare mamma Entjen, a patto che si voti completamente a lui liberandosi del suo locale e pure della memoria del suo primo marito e diventare un libero impresario teatrale, possibilmente in America. Per ognuna di queste aspirazioni ritiene di avere una ricetta infallibile che, ovviamente, gli procurerà non pochi guai e moltissimi ulteriori grattacapi, ma la sua risoluta fiducia in sé stesso gli fa superare ogni disillusione per mezzo di una nuova illusione. A metà del romanzo tutto sembra confondersi irrimediabilmente proprio come nella testa di Esch e il lettore quasi fatica a seguire la mirabile architettura della trama, che Broch risolve con un colpo da maestro: concede a Esch un lungo sogno nel quale tutti i desideri e gli accadimenti della sua vita si collegano veramente in una sola visione d’insieme e da quell’intricatissimo intreccio onirico Esch vede sorgere per un attimo la possibilità di una redenzione universale che solo il suo laicissimo sacrificio può produrre. Quel sogno, che è un prodigioso insieme di delirio e lirismo, di caos e poesia, è uno dei momenti più alti di tutta la narrativa di Broch, ed è anche l’ultima molla del romanzo: perché in nome della visione che gli è balenata Esch sarà costretto a compiere una scelta, fra delitto, fuga, libertà, prigione, amore o solitudine. Il sogno gli ha indicato una via, ma Esch non sa quale e, obbligato a decidere, si ritrova a dover scegliere fra le sue troppe certezze.

Scritto come seconda parte della trilogia, I sonnambuli II1903 Esch o L’anarchia (traduzione di Ada Vigliani, Adelphi, pp.274, € 20,00) è il romanzo dell’età del nichilismo così come Pasenow o Il romanticismo era il romanzo della decadenza e Huguenau o Il realismo sarà il profetico romanzo della catastrofe. Adelphi, che con grande merito viene riproponendo la trilogia, la presenta in volumi separati seguiti poco utilmente da saggi sul romanzo o su Broch di grandi scrittori (Kundera, in coda a Pasenow, Canetti in coda a Esch) estrapolati, per di più, da altri libri già in catalogo. L’accorgimento, già di per sé non molto utile, finisce per danneggiare nel lettore la percezione dell’unità dell’insieme. Cionondimeno l’impresa ha il grandissimo merito di valersi della traduzione assolutamente perfetta di Ada Vigliani, che supera  anche quella, già bella, di Clara Bovero, apparsa nel 1960 da Einaudi. Chi conosca le enormi difficoltà che Broch pone al traduttore con la complessità dei suoi periodi, la ricchezza dei suoi registri, i bruschi cambiamenti di tono e anche di tempo verbale che l’italiano mal sopporta, non può se non ammirare la fluidità della prosa ottenuta da Ada Vigliani, che anche nei punti più ardui preserva il lettore dalla necessità di rileggere per afferrare meglio un passo. Un capolavoro nel capolavoro.

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