Cultura

Brigantessa Filomena, una storia alternativa

Filomena PennacchioFilomena Pennacchio

Libri La «regina delle selve» secondo Valentino Romano

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 21 giugno 2024

All’interno del dibattito relativo alla storia italiana contemporanea, la questione relativa al brigantaggio non è mai stata esplorata con sufficiente profondità. Il recente studio di Valentino Romano, Filomena, la regina delle selve. Storia e storie delle donne del brigantaggio (Carocci, pp. 216, euro 22), si colloca in controtendenza, nella misura in cui apre scenari nuovi alla conoscenza e all’interpretazione del brigantaggio.

L’autore ha il merito di scegliere un percorso alternativo, ovvero la partecipazione delle donne alle ribellioni e alle bande. Contrariamente a quanto gli stereotipi sulle popolazioni meridionali vorrebbero far credere, la componente femminile costituì, sia quantitativamente che qualitativamente, una sezione consistente del fenomeno. Filomena Pennacchio, la protagonista del libro, rappresenta una figura caleidoscopica, a partire dalla quale ricostruire sia la vicenda complessiva delle donne briganti, sia quella delle popolazioni dell’ex Regno delle Due Sicilie, per poi allargare lo sguardo alle politiche repressive.

CATTURATA dai carabinieri a seguito di un’imboscata, la brigantessa racconta di essere stata costretta a lasciare la masseria presso cui lavorava dal capobanda Giuseppe Schiavone, che ne avrebbe fatto la sua amante con la forza. Una storia comune a quella raccontata da altre donne, dove però la ricostruzione dei fatti non è sempre reale. Per quanto la costrizione, la violenza di genere, fossero diffuse nell’Italia meridionale del XIX secolo, la confessione di Filomena Pennacchio nasconde altri aspetti legati alla repressione e alla discriminazione di genere.
Innanzitutto, la criminologia positivista, elaborata proprio in quegli anni da Lombroso al seguito dei carabinieri impegnati nella repressione del brigantaggio, identificava il delinquente nato con le popolazioni meridionali. La fossetta occipitale del brigante calabrese Villella per anni fu considerata come la dimostrazione empirica di una predisposizione naturale al crimine. All’interno di questa narrazione, le donne erano rappresentate come esseri inferiori, prive di discernimento, alla mercé degli uomini. Un’analisi che, se da un lato radicava i pregiudizi, dall’altro consentiva alle donne di evitare il plotone di esecuzione.

IN SECONDO LUOGO, dalla vicenda penale di Filomena Pennacchio, è possibile trarre alcuni spunti di riflessione in merito al governo e alla repressione dei conflitti sociali avvenuti dall’Unità ad oggi. La prima legge di emergenza, la legge Pica, risale al 1863. I tribunali militari agivano spesso senza la possibilità per gli imputati di avvalersi del contraddittorio, le sentenze di morte erano eseguite quasi immediatamente. Non a caso, la storiografia non è ancora in grado di stabilire il numero di decessi, anche se è accettata la cifra di 30mila persone, tra morti in combattimento, giustiziati e vittime di esecuzioni extragiudiziali. Alle donne, per via della loro inferiorità confessa, venivano comminati svariati anni di lavori forzati, poi parzialmente condonati.

Non a caso Filomena Pennacchio poté rifarsi una vita, sposando un ricco borghese di Torino, dove morì alla vigilia della prima guerra mondiale. In ogni caso, dalle pagine dense del lavoro di Romano, emerge un modello di polizia coloniale, che opera ai danni delle popolazioni meridionali, sorretto da un apparato emergenziale che deroga costantemente dallo Stato di diritto. E che chiede alle donne di rinunciare alla propria soggettività in cambio della sopravvivenza. Dalle repressioni odierne alla critica al patriarcato, passando per l’autonomia differenziata, il libro di Romano parla alla contemporaneità.

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