Visioni

Bridget St John, «la musica non ha mai smesso di arrivare nella mia testa»

Bridget St John, «la musica non ha mai smesso di arrivare nella mia testa»Bridget St John – foto Getty Images

Musica Incontro con la cantautrice britannica che torna in Italia per due date dal vivo, il 18 ottobre a Savona e il 20 a Roma

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 ottobre 2023

La prima volta che Bridget St John venne in Italia era il 1967. Arrivò in autostop con un’amica dell’università di Sheffield, visitarono Roma e Firenze, e andarono da alcuni parenti della ragazza. «Era estate, non faceva caldo come adesso, era bellissimo. Mi piaceva vedere un paese che cambiava senza però cambiare tutto», dice. «In Italia non era come a New York dove si buttano giù i vecchi palazzi per costruirne di nuovi sempre più alti. All’epoca notai il rispetto per la storia, un modo di apprezzare l’esistente senza bisogno di doverlo sostituire. L’accoglienza era molto calorosa».
L’atmosfera rilassata di quella vacanza al Sud diede origine a To B without a hitch, una canzone di Ask Me No Questions, il suo album d’esordio (1969). «Me ne starò seduta a mangiare un tramezzino aspettando che spiova. Tutti cercano di salire sugli autobus nell’ora di punta, anche se sanno che non c’è più posto. Io invece me ne sto seduta a fare l’autostop. Prima o poi, passerà una macchina», canta con la sua voce da violoncello. La B nel titolo è Beatrix Potter e il tramezzino viene dalla storia del Signor Jeremy Pescatore che mangia un butterfly sandwich.
Bridget tornò in Italia nel 1970 con il marito e una coppia di amici a bordo di un furgone Volkswagen. All’epoca la sua carriera di musicista procedeva alla grande, avrebbe inciso altri due album per la Dandelion, l’etichetta di John Peel: Songs for the Gentle Man (1971) e Thank You For… (1972). Per Peel era «la miglior cantautrice del Regno unito». Bridget partecipò alle sue session per la Bbc, andò in tour nel circuito dei college e dei festival e nel 1974 i lettori del Melody Maker la votarono una delle cinque voci femminili più popolari.
Poi, come vuole la leggenda, è «scomparsa». Stessa sorte di Vashti Bunyan, Shelagh McDonald o Linda Perhacs. C’era forse un misterioso Triangolo delle Bermuda che inghiottiva solo le cantautrici?, le chiedo via Zoom il giorno prima della sua partenza per l’Inghilterra dove la aspettano tre date con Emma Tricca: due a Londra e una a Manchester, precedute da una radio session nel programma di Gideon Coe su BBC 6Music. In Italia suoneranno a Savona il 18 ottobre e a Roma il 20. Nel mezzo un altro mini set alla radio, stavolta per Battiti, la trasmissione di Radio3.

Per una donna è difficile emergere, molte hanno abbandonato stanche di bussare a una porta che non si apriva. Io ho sempre fatto un altro lavoro oltre a suonare

LA VIDEOCHIAMATA è organizzata dalla figlia perché Bridget mantiene un profilo sostanzialmente analogico. Risponde alle email, con calma, ma non ne vuole sapere di social media. Le persone attaccate al cellulare la lasciano sgomenta. «La gente non capiva cosa fosse successo», dice a proposito della sua presunta scomparsa. «Il sistema di informazione che li teneva aggiornati se suonavo in Inghilterra smise di funzionare e loro non sapevano che continuavo a farlo a New York. La musica non ha mai smesso di arrivare, nella mia testa non si è fermato niente, la chitarra è sempre con me. Ho due Fylde fatte a Lancaster dal liutaio Roger Bucknall; una che apparteneva a Michael Chapman e una acquistata di getto in Inghilterra due anni fa. Nel 2018 ho comprato una Martin che è diventata subito la mia preferita, è la più robusta e la meno instabile, per cui è quella che porterò con me in tour».
Nonostante consideri come fratelli musicali John Martyn e Michael Chapman, spesso Bridget è associata a Nick Drake che incrociava al club Les Cousins di Soho, a Londra. Entrambi aprirono il concerto dei Fairport Convention alla Fairfield Halls di Croydon nel 1969 ed entrambi vennero massacrati dal recensore del Melody Maker. Lei accusò il colpo, ma Nick la prese molto peggio. «Quando ho cominciato a suonare nel 1968 e l’ho conosciuto, Nick stava cercando di affermarsi come solista, senza il gruppo con cui suonava all’università. Ma a stare da soli sul palco ci si sente molto nudi e per lui era molto difficile navigare in quelle acque. Non credo di somigliargli musicalmente, diciamo che siamo nella stessa arena». La vicinanza, per chi ascolta, è una suggestione data dal modo di porgere la voce che rispecchia un carattere timido e riservato. «In modo estremo!», aggiunge. «Consideravo Nick uno spirito affine perché eravamo a nostro agio l’uno con l’altra anche senza parlare. Non c’era bisogno di fare conversazione, bastava la presenza reciproca».

NELLA RECENTE intervista con il mensile Mojo, Bridget solleva una questione che oltre mezzo secolo dopo non è del tutto superata, la disparità di genere. All’epoca le etichette discografiche prendevano a bordo una sola musicista donna. «Forse è un’esagerazione, ma l’impressione era quella. Quando ho cominciato c’erano Jo Ann Kelly, una musicista blues straordinaria, una donna minuta con una potente voce blues e uno stile chitarristico incredibile; Claire Hamill, Linda Lewis, Jaki Whitren, Sandy Denny naturalmente. L’impressione era che avrebbero scelto o me o un’altra. Infatti molte hanno abbandonato la musica stanche di bussare a una porta che non si apriva, di non guadagnare abbastanza per sopravvivere. Io ho sempre fatto anche un altro lavoro oltre a suonare».

OGGI, A 76 ANNI, si ritrova con un’agenda fitta di impegni. A settembre ha suonato negli Usa con Steve Gunn (ex The Violators di Kurt Vile), un altro spirito affine, un fratello musicale più giovane. «Non è timido come Nick, ma anche con lui posso evitare di fare conversazione», dice. Sempre a settembre Bella Union ha pubblicato Rubies, un duetto con Emma Tricca. Si sono conosciute a New York attraverso Ernie Indradat, l’ingegnere del suono che ha lavorato su Aspirin Sun, l’album di Tricca uscito la scorsa primavera. «Bridget è la mia voce folk preferita, fuori dagli schemi e fortemente indipendente», dice Emma. «Ernie voleva metterci in contatto da anni, ma la pandemia ha dilatato i tempi. Ci siamo conosciute lo scorso marzo a cena in un ristorante messicano dell’Upper East Side, abbiamo parlato a lungo di musica e della scena folk britannica a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70. Avevo scritto una canzone pensando a lei e al suo timbro di voce e le ho chiesto se aveva voglia di sentirla per un’eventuale collaborazione. A luglio sono tornata a New York e l’abbiamo registrata insieme alla band». Ovvero Jason Victor (Dream Syndicate) alla chitarra elettrica, Pete Galub al basso, Steve Shelley (Sonic Youth) alla batteria, David Nagler al piano e Jesse Chandler (Midlake, Mercury Rev) al flauto. «Emma ha una grande passione e se si mette in testa una cosa la ottiene. Emana un’energia e una forza molto positive», dice Bridget della collega italiana.
Oltre a Rubies con Tricca, che suonerà anche la chitarra in Ask me no questions, come sarà la scaletta dei concerti? «Un mix di canzoni vecchie e nuove oltre a Back to stay di John Martyn, Rabbit Hills e Aviator di Michael Chapman, una canzone scritta negli anni ‘70 che continua a essere molto attuale, soprattutto negli Stati uniti. Nella versione di Michael parla del fatto che doveva dei soldi al fisco, ma io ho cambiato il testo con la sua approvazione e canto di una folla inferocita che sembra quella che il 6 gennaio 2021 ha assaltato Capitol Hill a Washington».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento