Visioni

Brian Yuzna: «Il mio horror è un conflitto di classe»

Brian Yuzna: «Il mio horror è un conflitto di classe»Una scena da «Society The Horror» di Brian Yuzna

Cinema Il regista americano alla guida della giuria del Science+Fiction Festival, parla del film «Society» restaurato per il trentennale

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 2 novembre 2019

Trent’anni ci separano dalla comparsa di Society-The Horror sulla scena off di Hollywood. Correva il 1989 nell’America dell’era post-reaganiana e di certo da allora il mondo non è affatto lo stesso. Da quell’epoca di ubriacatura edonistica ci separa la caduta del Muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda e la definitiva affermazione del capitalismo, di cui oggi assistiamo al declino senza che si sia ancora riusciti a prefigurare un’alternativa che non preveda il reciproco sbranarsi degli uni contro gli altri. In questo senso ci aveva visto giusto Brian Yuzna, regista culto del genere fanta-horror del decennio a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, oggi alla guida della giuria del Science+Fiction Festival (di scena a Trieste fino al 3 novembre), che in occasione del 30esimo anniversario del film ne propone la versione restaurata.

LA TENSIONE è latente sin dalle primissime inquadrature. Le villette e i vialetti, come ne abbiamo viste tante in tanto cinema americano dei roaring Eighties, dai teen-movies agli horror. È in questo altolocato coté che vive il giovane protagonista Bill Whitney, secondogenito di una influente e facoltosa famiglia a Beverly Hills. Eppure, in questo contesto da favola, qualcosa non torna: incubi, sussurri, risate sommesse, dialoghi lascivi e ambiguità. C’è sempre una nota stonata, un’inquadratura fuori posto. Proprio come si sente fuori posto Bill, convinto di essere «diverso» da tutte le persone che lo circondano e dalle quali si sente minacciato. Per questo viene seguito da uno psicologo, il dr. Cleveland, amico di famiglia che cerca di indagare nei suoi sentimenti contrastanti verso i genitori, che fanno poco per nascondere l’evidente preferenza nei confronti della sorella Jenny.

Il regista Brian Yuzna

POCO a poco Bill riesce a fare breccia nella verità per scoprire ciò che ha sempre sospettato: ossia che dietro allo scintillio dello sfarzo e della mondanità si cela il non-umano: una setta, una «famiglia» allargata e cannibale nei cui rituali orgiastici le classi privilegiate fanno letteralmente a brandelli gli esclusi. Seviziati, penetrati nella carne, risucchiati nella linfa. Esplicita la metafora socio-politica che nasce spontanea in Yuzna, formatosi nella controcultura americana in piena epoca di contestazione e perciò naturalmente diffidente riguardo a ogni forma di potere come all’istituzione familiare. «Lavoravo con Dan O’Bennon – ricorda – al progetto per un film che si intitolava The Men. Era la storia di una donna che scopre che tutti gli uomini sono alieni. Mi piaceva molto l’idea perché era un horror che aveva alla base un concetto satirico. Il film alla fine non si fece ma quando Woody Keith e Rick Fry mi consegnarono la sceneggiatura di Society, la storia di un ragazzo che scopre che i genitori e molta gente attorno a lui non sono ciò che sembrano, mi ha ricordato molto The Men. C’era la stessa atmosfera paranoica: il fatto di svegliarsi e vedere il mondo con altri occhi, di non capire bene se sei pazzo o meno. Ho opzionato il copione per farne un film ma volevo aggiungere alla storia una componente fantastica che in origine non era prevista. C’erano già il tema dell’incesto e il discorso sul conflitto di classe, ma non emergevano abbastanza chiaramente. Alla fine i membri della “società” uccidevano i ragazzi in modo sanguinoso, ma io volevo scrivere una diversa mitologia del “sangue blu” e della classe dominante in un horror basato su qualcosa che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. E non volevo spiegarlo in modo esplicito, non amo i film in cui si spiega troppo. Un film dev’essere come un iceberg. Dove vedi solo la punta, ma devi sentire che sotto c’è molto di più».

LA SEQUENZA finale di Society realizzata con la collaborazione di Screaming Mad George (pseudonimo di Joji Tani) agli effetti speciali, un intreccio di corpi e di umori che finiscono per fondersi gli uni negli altri, colloca il film in un punto intermedio tra horror politico e body-horror, dove sia la metafora della rappresentazione del reale che la messa in scena della trasformazione dei corpi contano. «Mi sono chiesto se ci fosse qualcosa di ancora “non visto” nella rappresentazione del corpo umano e ho pensato a questa idea di corpi liquefatti che si sciolgono gli uni negli altri. L’ispirazione ci è venuta dal surrealismo e in particolare da alcuni dipinti di Dalì».

MOLTO APPREZZATO in Europa, Society non ha invece avuto successo in America, «troppo critico verso la California del jet-set e l’America del potere, negli anni in cui lo slogan “greed is good” era diventato un mantra» spiega Yuzna. «Se oggi dovessi girare un nuovo Society cosa cambierebbe? Ne potrei fare almeno due versioni. La prima la ambienterei negli anni del college e si svolgerebbe nei nightclub di Hollywood Boulevard e Sunset Boulevard. Con il red carpet e l’usciere alla porta che controlla la lista degli invitati alla festa. Una volta riusciti a entrare bisogna accedere alla stanza Vip e se riesci nell’impresa c’è una stanza Vvip. A quel punto servono le credenziali per andare all’Afterparty e se mai riuscissi a infilarti non avresti comunque accesso al «piano superiore». In un’altra versione la protagonista sarebbe invece una ragazza. Quando finalmente viene invitata a far parte del gruppo e scopre cosa le sta per accadere, al ragazzo che – innamorato di lei – le offre l’opportunità di scappare lei rifiuta dicendo: «No, grazie. Voglio farne parte». È questa la differenza fondamentale tra ieri e oggi. Oggi nessuno opporrebbe resistenza. Chiunque farebbe carte false per entrare a fare parte di quel gruppo di eletti, privilegiati e corrotti. Si farebbero anche un selfie». Prima di venire risucchiati e annientati.

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