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Brian Eno, la sfera emotiva dell’ambient

Brian Eno, la sfera emotiva dell’ambientLa copertina di «Ambient 1: Music for Airports»

Scene/Un genere che grazie all’artista inglese, e a una sfilza di colleghi, continua a sorprendere Premiato alla Biennale musica 2023 con il Leone d’oro alla carriera, i suoi «Ambient 1: Music for Airports» e «Music for Films» sono opere manifesto

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Nel 1978 Brian Eno pubblica due album di significativa importanza Ambient 1: Music for Airports e Music for Films. Questi due lavori segnano quella che è la somma di esperienze sonore che partivano da lontano e che erano arrivate a John Cage e a Raymond Murray Schafer. Quello che Eno produce riguarda soprattutto una sfera emotiva dell’ascolto, partendo da una idea di cromografia sonora; da Satie a Wagner e poi a Schoenberg la strada per carpire il senso del suono è lunga. I risultati hanno generato in Cage quell’idea di identità sonora scorporata dalla performance. Anzi Cage diventa il vero non performer della sua musica. Al contempo Schafer cerca di teorizzare l’importanza di una musica atta all’ambiente, quello interiore principalmente. Pertanto dopo diversi tentativi nel campo soprattutto del rock e della musica applicata, Brian Eno giunge a concepire quello che sarà un vero prodotto utile all’ascolto e non viceversa. Eno comprende che è necessario creare una sorta di factory e quindi crea album con la collaborazione di alcuni musicisti.

CONSACRAZIONE
Tempo ne è passato, ora Eno ha ricevuto la sua consacrazione a Venezia alla Biennale musica 2023 – diretta da Lucia Ronchetti – con il Leone d’oro alla carriera; premio che legittima una giusta collocazione storica e formale di un’idea di musica nata dopo aver compreso il potenziale della manipolazione elettronica. Eno a Venezia ha confermato in una cornice come quella del Teatro La Fenice che oggi è ancora possibile fare musica interiore e che la dimostrazione di una strabiliante esecuzione di Ships con la Baltic Sea Philarmonic ha permesso di comprendere che quella musica ambient ha raggiunto una evoluzione molto importante.
Così come alcuni di quei musicisti che quaranta anni fa collaborarono alla nascita di una nuova musica. Come nel caso del tedesco Hans Joachim Roedelius che con Dieter Moebius nel 1978 aveva realizzato nella factory di Eno After the Heat; egli ha poi proseguito in quella sua incessante ricerca che lo ha portato nel corso del tempo a realizzare una infinità di album e di collaborazioni. La ricerca per Roedelius rimane sempre nel segno dell’appartenenza a una generazione che ha voluto recuperare una identità di comunicazione musicale e di essere poi compositore di ambient melody che lo hanno reso un vero innovatore. Negli ultimi anni i suoi album sono notevoli opere, come Ex Animo del 2010 (Fabrique Records) dove riprende l’uso del pianoforte coniugato ai synth. Anche l’industrial Nordlicht creato assieme a Carl Michael Von Hausswolff nel 2018 (Curious Music) conferma quella decisione di spaziare nelle vaste gamme dei suoni contratti sinteticamente.
Con Mind Cinema (Astral Edition) del 2021 nato in collaborazione con il trio Dallas Acid vi è una riscoperta delle sonorità sospese, nelle lunghe e fluttuanti sintesi sonore. Fino al recentissimo Vík nato in collaborazione con l’italiano Eraldo Bernocchi e il duo Stereo Hypnosis che è un vero fluttuare fra sonorità Seventies e una definizione di striature di frammenti melodici. Da non dimenticare che fra il 2017 e il 2018 realizza tre lavori di applicazione cinematografica come War Machine di Nick Cave, Symphony of Now e Die Rueden. Dieter Moebius a differenza di Roedelius cerca delle strade più garage pervase da una ascendenza rock e con riferimento alle sperimentazioni di Jarre e dei Kraftwek. Nell’album del 2009 Kram (Klangbard) sono forti i riferimenti alle ricerche stilistiche degli Eighties; sonorità estreme, dark fanno di questo album un punto di passaggio. Anche con Asmus Tietchens realizza un cd dalle infinite possibilità, Moebius+Tietchens (2012), che rivela una ricerca spettrale per certi sensi, una verifica di segnali sonori che hanno riferimenti futuribili. Molto forte è la sintesi ripetitiva fatta da suoni estremamente metallici al limite dell’industrial. In Tonspuren (Bureau B, 2010) c’è una riflessione ascetica, un recupero di identità sonora, fatta da suoni provenienti sempre dal passato con una proliferazione di morbidezze sinusoidali. Stupendo è il lavoro che fa per la sua versione della sonorizzazione di Metropolis di Fritz Lang del 2017 (Bureau B). Il suo è un lavoro di sottrazione, di indipendenza da schemi con una forte ascendenza monotemporale e con una serie di inserti dinamici molto interessanti. L’astrazione è talmente evidente che questo album rimane forse fra i suoi più contemporanei con ascendenze ambient. Questo lavoro esce dopo la sua morte, avvenuta il 20 luglio 2015, e risente dell’estrema ricerca a cui era arrivato.

PERCORSI
Anche l’altro genio della ricerca post Cage quale è stato Harold Budd non ha il tempo di completare il suo percorso compositivo giacché muore l’8 dicembre 2020. Budd rimane maggiormente fedele alla sua personale idea di ambient, forse è colui che con Eno incarna l’idea intellettuale promulgata da Murray Schafer. Nel 2013 pubblica Budd Box (All Saint Records), un doppio cd in cui riversa la sua leggendaria sintesi di sospensioni sonore, utilizzando il suo essenziale pianoforte con una lunghezza di riverberi sonori. È una sintesi quindi del suo prodigioso lavoro di essenza della dimensione quasi ascetica del colore sintetico musicale. Così come aveva ribadito due anni prima nel perfetto progetto di In the Mist (Darla Records), uno degli album che più risente dell’etica green del suono. È sempre il pianoforte che determina la legge interiore di Budd, la sua completa astrazione anche dal cosiddetto genere ambient gli permette di muoversi nella sua misura di ricercatore di spettri sonori. Molto vicino all’«enosound» è Luxa (All Saint Records). In questo cd ripresenta alcune sue tematiche più pop, vicino alle tendenze dei Talking Heads e in particolare di David Byrne. In Luxa si percepisce come Budd abbia avvicinato e superato l’originario progetto realizzato nel 1980 con Eno, Ambient 2: The Plateau of Mirror. Probabilmente Budd vuole omaggiare quella scoperta primitiva per confermare la sua essenza di compositore in linea solo con se stesso. Fra le ultime produzioni notevole è quella che realizza con Robin Guthrie dei Cocteau Twins nel 2020, Another Flowers (Daria Records). Ultimo riferimento è quello relativo alla contemporaneità di Jon Hassell che realizza con Eno nel 1980 Fourth World Vol. 1, e questa esperienza lo segnerà per tutto il suo percorso che si concluderà il 26 giugno 2021. Hassell di tutti i collaboratori di Eno è il meno prolifico tant’è che produce una trentina di album dal 1978.
Certo è che fra il 2018 e il 2020 pubblica due cd particolari come Listening to Pictures (Pentimento Volume One) e Seeing through Sound (Pentimento Volume Two) (Ndeya). Fra i compositori della fase ambient Hassel conferma in questi due lavori la sua forte ascendenza verso altre sonorità dove è certamente importante il riscontro elettronico ma al contempo la presenza di strumenti acustici e di certi riferimenti che ricordano Terry Riley lo rendono unico in questo rinnovamento del futuribile sonoro. La storia della musica ambient, dell’esperienza di Brian Eno, ha prodotto tantissimo ma a livello di ricerche l’unico lavoro meritevole è quello di David Toop che in Oceano di suono (Add editore) dà finalmente la giusta collocazione a quella che è una delle forme musicali più interessanti e durature del secolo scorso.

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