Europa

Brexit, accordo Ue-Londra su transizione, non sui confini

Brexit, accordo Ue-Londra su transizione, non sui confiniIl vertice fra David Davies e Michel Barnier – foto di Afp LaPresse

Primo Passo Fino al dicembre 2020 rimangono le normative attuali su persone, merci e capitali. Parti soddisfatte ma May ha ceduto su molto, non potrà farlo sulla dogana in Nord Irlanda

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 20 marzo 2018

Fumata bianca ieri a Bruxelles: alla conferenza stampa a coronamento dell’attuale fase di negoziazione sulla British Exit si è annunciato l’agognato passo avanti nella trattativa. David Davis e Michel Barnier hanno annunciato di essersi messi d’accordo, a un anno e nove giorni dall’uscita formale, il 29 marzo 2019, sul periodo di transizione che dovrebbe garantire tranquillità alle imprese britanniche: per due anni dopo lo scoccare della Brexit, la Gran Bretagna sarà formalmente fuori dell’Unione europea ma continuerà a commerciare liberamente con essa mentre sarà discusso l’assetto dei futuri rapporti commerciali. Il periodo scadrà nel dicembre del 2020: fino allora persone, merci e capitali continueranno a fluire avanti e indietro come prima fra il Paese e il continente. Il segretario di stato per l’uscita dall’Ue Davis era raggiante. Ma anche la sua controparte, il solitamente criogenico Michel Barnier, pareva più disteso.

ORA LE IMPRESE, ha detto Davis, «Anziché continuare a ritardare le proprie decisioni e investimenti o improvvisare di corsa piani di contingenza basati su scommesse su quello che sarà l’accordo futuro, hanno chiari i termini del nostro rapporto con l’Ue dopo il nostro ritiro». Si evita così la famigerata cliff edge, la caduta nello strapiombo kafkiano delle regole del Wto che le imprese temevano più di ogni altra cosa: insomma, l’ormai celeberrima Brexit “dura”. E Barnier: «Dopo giorni e notti di duro lavoro siamo riusciti a raggiungere un’intesa su una larga parte di quello che sarà un accordo internazionale per il ritiro ordinato del Regno Unito. È stato compiuto un passo decisivo, ma è solo un passo avanti, non siamo alla fine del viaggio. C’è ancora molto da fare», ha aggiunto, raffreddando debitamente gli animi.

«QUESTO DIMOSTRA CHE con buona volontà e impegno da ambo le parti si può ottenere un buon accordo per il futuro che sia nell’interesse sia del Regno Unito, sia dell’Unione Europea», ha commentato la premier Theresa May, che spera che nel summit di giovedì e venerdì di questa settimana a Bruxelles già si cominci la discussione sui futuri rapporti commerciali fra le parti.

DUNQUE LA PAROLA MAGICA è progresso. Ma, a ben guardare, è un progresso nel segno dell’acquiescenza britannica a gran parte delle condizioni dettate da Bruxelles. A partire dalla durata del periodo, solo ventuno mesi contro i ventiquattro desiderati da Londra. I diritti dei cittadini Ue rimarranno immutati per tutta la durata del periodo di transizione, altra clausola su cui Bruxelles è adamantina; è stato formalizzato il saldo (salato) dei quaranta miliardi di Euro del Brexit bill. E poi – altra concessione che irriterà gli euroscettici in quanto loro cavallo di battaglia referendario, la Gran Bretagna non avrà alcuna voce in capitolo nella formalizzazione delle quote europee sul pescato. All’indubbio sollievo dei quattro merluzzi rimasti nel mare del Nord farà riscontro l’ira dei pescatori britannici.
RESTA APERTA POI LA QUESTIONE – spinosissima – dell’Irlanda e del suo confine con Irlanda del Nord. Ieri mattina, prima della conferenza stampa congiunta con Davis, Barnier aveva incontrato il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney, accorso per assicurarsi che la necessità di evitare un confine fisico tra le due Irlande rimanesse bene a fuoco. Barnier ha annunciato che per l’Ue la cosiddetta back stop solution – una soluzione di riserva che eviti un confine materiale Irlanda e Irlanda del Nord (che diventerebbe quello fra la Gran Bretagna e l’Ue) è che l’Irlanda del Nord rimanga pienamente allineata con l’Ue, dentro mercato unico e unione doganale – «dovrà far parte» dell’accordo finale «a meno che/finché» non si sarà trovata un’altra soluzione. Se la soluzione non si trova il temuto confine fra le due Irlande ci sarà.

SARÀ SU QUESTO CHE SI GIOCHERÀ la sopravvivenza politica di May: poco tempo fa aveva detto che nessun primo ministro britannico avrebbe potuto tollerare un’ingerenza straniera di simili proporzioni nella sovranità nazionale. Sarebbe davvero l’ultima cosa che le manca da accettare in questa serie di capitolazioni: se lo facesse, la decina di deputati del Dup nordirlandese che la sostiene la lascerebbe immediatamente cadere.

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