Bressane, breve saggio sull’amore
festival di Locarno Con questo scritto concesso ad Alias il regista presenta il suo nuovo film "Beduino"
festival di Locarno Con questo scritto concesso ad Alias il regista presenta il suo nuovo film "Beduino"
L’amore è un sentimento continuo, permanente. A mutare, sfortunatamente, sono gli oggetti dell’amore, per il sopraggiungere di qualche debolezza o anche per l’esaurirsi degli stimoli. Intensità e rinnovamento sono entrambi necessari agli stimoli. L’amore è permanente e ininterrotto.
Una coppia sufficientemente attenta, due drammaturghi della propria esistenza – nella quale l’arte sorge accompagnata da una singolare pretesa metafisica – va alla ricerca della cosa più difficile attraverso ripetute e variate rappresentazioni, in uno scenario di luce crepuscolare in cui si fondono speranza e disperazione.
La strana coppia cerca la cosa più difficile, la cosa più difficile è comprendere e comprender-si. Comprendere che cosa sia questo breve e stravagante passaggio planetario, i suoi tremori, il suo fine. L’immaginazione recupera il tempo vivido, l’inverosimile sembra o può sembrare veritiero. E perviene a essere veritiero. Il mondo immaginato è reale, l’intimità è sperimentata e condivisa, i gesti fortuiti sono a disposizione dei sensi, sono ombre dello spirito. Come ebbe a osservare e a scrivere un grande lettore: «l’inconscio come un forte gestore di potenziali energetici».
Nell’alchimia delle impressioni, una traccia di memoria, frequentata dall’anima sensibile, appare in scena nelle quinte di un teatro domestico, un istante liberato dal duro ordine del tempo. Qualcosa di vivido, che appartiene tanto al passato quanto al presente ed è più importante dell’uno e dell’altro, viene re-interpretato con una drammaturgia precisa, la cui messa in scena trasporta l’energia dell’amore, al di là del carattere limitato della coscienza individuale. Le pieghe del desiderio, tese fino al limite inaccessibile della visione interiore, le diverse sensazioni di un altro tempo e un altro spazio, che speriamo di incontrare solo nell’immaginazione. Le passioni, che ispirano l’eloquenza, agiscono tumultuosamente sui due personaggi; e nello spazzio trasformato dalla sensazione, inflettono ugualmente le altre sensazione.
L’energia, il pathos che fabbrica ciascuna parola si propaga con la stessa forza nell’immagine. Un fotogramma introduce una letteratura. Il montaggio reintroduce il cinema, cinema che pensa il film come la storia della sua realizzazione. Il canto parallelo, la parodia, modo di estrarre elementi essenziali, raggiunge il suo oggetto laddove questo sopravvive e si sfigura con un altro valore, un altro significato, e ancora un altro senso…Il silenzio degli animali, lo sterminio quotidiano di migliaia di animali, evocato nell’attitudine bizzarra di un uomo che si lascia divorare fino alle viscere, affratellato a un coccodrillo prigioniero, è un crogiuolo da cui scaturiscono dolore, pena, lutto, che finiscono per avvelenare ciò che resta dell’umanità.
Creare è un atto continuo di rimemorazione. Fin dall’inizio, fin dal principio, fin da sempre, è il caso, l’accidente che trasporta indietro a quell’altissimo momento in cui un’invasione di eternità, di vuoto, di musica, di proibito, ci domina e ci assorbe completamente. Sensazioni temporali e spaziali aprono alla vista una realtà occulta al di là del mondo visibile.
L’immaginazione, la fantasia, perfino il sogno sono un respirare. Sintomo iniziale della vita post-uterina la respirazione feconda e genera l’atto creatore in qualsiasi arte.
L’immagine è sospesa a una catena linguistica dalla quale essa prende in prestito la sua articolazione. La prima voce del film, il primo dialogo, le due parole iniziali pronunciate sono: amor humor. È una poesia di Oswald de Andrade, forse la più compressa, breve poesia della lingua portoghese. Il titolo della poesia è «Amor» e la poesia è «Humor». La necessità dell’umore per la nostra esistenza fu una preziosa linea di forza dell’opera di Oswald de Andrade.
Il riso sperimentato come vocazione liberatoria, espressione importante e indissociabile del flusso vitale. Oggetto di speculazione filosofica, il riso è una forma di «amor fati», la celebre affermazione del destino. Un filosofo propone di classificare i filosofi secondo i loro risi, principalmente coloro che denominava capaci di «risate d’oro»…
Il film inizia con un piano sequenza di ab-scene, che sono scene ancora in costruzione. Dopo il titolo Beduino, arriva un piano, un’inquadratura dalla suggestione etimologica della parola beduino: la strada deserta, in cui a un determinato momento appare il camminare di un uomo.
L’etimologia proviene dall’italiano beduino, derivato dall’arabo badawin, plurale di badaway. Badw significa deserto; in significa abitante, gente, uomo. Beduino significa uomo del deserto.
Film visti, posseduti, detti lungo molto tempo, come impersonali, oggi devono essere rivisti sotto un’angolazione quasi autobiografica. In questa nuova autobiografia il percorso si disloca dal definito, dichiarato, verso il vago, l’indistinto. Il neutro fissa la condizione del cinema, del suo esercizio, della sua possibilità. Neutro è come dire «lui stesso», «soggetto».
Nella prefazione del Lunário Sentimental, del 1909, il poeta argentino Leopoldo Lugones scrive: «Sta passando, per nostra fortuna, il tempo in cui per scrivere versi era necessario chiedere scusa. Scriviamo così tanto che alla fine si è cominciato a tollerare questo nostro capriccio…»
Ombre, ombre che saranno, umbrae futurorum dice Sant’Agostino.
Summa siderale, tutti gli astri, tutti i cosmi, in montaggio infinito e permanente, processo mentale che consiste nel confrontare l’espressione sedimentata, e la ripetizione di un’impressione, che danno luogo a una rappresentazione in immagini. Attraverso il fine filo della prosa in lingua portoghese (Almeida Garret, Alexandre Herculano, António Feliciano de Castilho, Camilo Castelo Branco, Antero de Quental, Oliveira Martins, Eça de Queiroz, Guerra Junqueiro, Ramalho Ortigão…), tutta una letteratura, tutta una ritmica, una lingua vernacolare, una sintassi – che, più tardi, poco dopo, sarà parodiata con potenza geniale da Machado de Assis – figura e si configura nel film nella scena del movimento di rinculo verticale della macchina da presa a salire con la protagonista (l’attrice rappresenta la difficile scena della civetta di Atena, sciolta, equilibrata ad alcuni metri sopra il terreno dello studio) nell’allontamento e ritorno al punto iniziale, che suggerisce, evoca, traduce, una antica nebbiolina, una lirica nel melodramma, sentita nella bellezza sonora della lingua, i suoi meccanismi strutturali, la sua esecuzione proiettata, drammatizzata, in una immagine. L’estasi delle parole nella confessione di una fantasia erotica, di una copula spiritista di piacere, che si rinnova con la domanda «Quem somos nós?» (Chi siamo noi? ndt)
Ritmato per scene brevi e scene lunghe, vediamo girare nella giostra cinematografica, una dopo l’altra, la rappresentazione di certi stati del battito cardiaco: l’officina situata dentro di noi e nella quale entriamo solo in alcuni momenti, le ab-scene, la svolta che si avvicina, il sogno che sempre ritorna, l’ebbrezza, la sala delle metamorfosi, la piramide americana, il treno, il giocattolo ludico, la situazione imprevista che ci fa vedere a noi stessi, António Vieira, il marmo e il mirto, theater of calamity, accordi del film del 1939 Wuthering Heights (Cime tempestose), le ombre che saranno, le scintille, il cieco e la mendicità eroica, vedere e udire, la fonte dei desideri, la credulità, il cappello e le monete d’oro, il corpo gabinetto di curiosità, i corvi, il cinguettio dei passeri notturni, i coccodrilli, il lutto solidale, le bolle di sapone, il pendolo di Foucault, l’alterazione nella rotazione della terra, l’incendio, il delirio, gli ossessogni, la ragazza enigmatica e la roccia della leggenda dell’Eterno Ritorno, l’artigianato simbolico e domestico, le oscenità, la guerra, la maschera e attraverso la maschera, la ricerca dei manoscritti, il tocco con la mano nella pietra incantata e filosofale di Surley, le Memorie di uno Strangolatore di Bionde che sopravivono, riappaiono, rivoltano più di una volta la vita, trasmigrano nella danza circolare della finzione, danza che riscrive altra finzione, finzione della finzione, nello scorrere continuo da sequenza a sequenza, di un silenzioso cinema che percorre un distante fiume sotterraneo situato nella Luna…
«Tutto finisce lettore, è un vecchio truismo…» scrive Machado de Assis nella prima riga del capitolo 118 (A mâo de Sancha)del classico Dom Casmurro (1899) e sembra prevedere lo stesso il vecchio Beduino e la sua amata Surm nell’immaginare nell’alterazione dell’asse terrestre il disastro della frattura verrtebrale dell’umano. Sparito il silenzio, sparita l’acqua, l’aria sparisce…
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