La recente uscita discografica di Live and Unreleased a nome dei Brecker Brothers per l’etichetta Leopard (distribuita in Italia dalla Ird) propone, quarant’anni dopo, in doppio cd, gli estratti di una tournée europea culminata in un concerto altrettanto significativo a opera dei fratelli Randy (tromba e voce) e Michael (sax tenore). Entrambi guidano, da circa un lustro, un sestetto fusion all’apice della creatività e in grado di proporre, all’epoca, forse il miglior jazz-rock di sempre per continuità e virtuosismo, a distanza di un decennio esatto della sfortunata esperienza con i Dreams nell’omonimo album e nel successivo Imagine by Surprise. Infatti nel 1970, in parallelo all’uscita del seminale Bitches Brew di Miles Davis e dell’exploit ottenuto da gruppi rock subito «convertiti» al jazz – Blood, Sweat & Tears, Chicago Transit Authority e in Inghilterra i Soft Machine) la Cbs Columbia, che appoggia tale svolta, lancia una nuova band, appunto Dreams, fondata da Jeff Kent e Doug Lubahn, a cui s’aggiungono via via, nel corso di venti mesi John Abercrombie, Billy Cobham, Bob Mann, Will Lee e Don Grolnick e appunto i giovani fratelli Brecker, per diversificare ulteriormente il catalogo dell’etichetta e il nascente jazz-rock, verso un groove più funkeggiante.

LA CRITICA
Purtroppo il successo dei Dreams è quasi solo di critica: il gruppo si scioglie e ogni membro intraprende altri percorsi artistici; di Randy e Michael si accorgono subito gli ambienti musicali Usa, giacché diventano richiestissimi, quali sessionmen, in coppia o individualmente, da decine fra cantanti, folksinger, jazzisti, bandleader, popstar, gruppi rock e country di ogni scuola, tendenza, corrente, al punto che sarebbe più facile stilare un elenco dei grandi che fanno a meno dei fratelli Brecker, invece di elencare solo i principali; ma sei nomi – Frank Zappa, John Lennon, Frank Sinatra, Charles Mingus, Eric Clapton e Aretha Franklyn – bastano da soli a intuire la qualità del suono dei due strumentisti: Randy e Michael, nati a Filadelfia ma newyorkesi acquisiti, dopo gli studi rispettivamente all’Indiana University e al Berklee College, partiti con il mainstream e l’hard bop, sanno assecondare, rivitalizzare, personalizzare, ogni tipologia di moderna sonorità, con energici assolo, di volta in volta, a seconda delle circostanze, grintosi, romantici, meditativi, spumeggianti. E anche un concerto veloce e tirato come quello di Live and Unreleased in tal senso è apprezzabile per la versatilità delle atmosfere solistiche (estese anche agli altri membri del sestetto). Acquisita dunque maggior esperienza accanto o dietro i mostri sacri del jazz, del rock, del rhythm and blues, dell’easy listening, rispettivamente a 31 e 35 anni, Michael e Randy si ritrovano di nuovo assieme per dar vita ai Brecker Brothers (o Bros come scritto su alcune copertine dei loro dischi) con due picchi di intensa attività: il primo, dal 1975 al 1981, presenta una band innovativa che riesce a inserirsi brillantemente nel travaso storico dal jazz-rock alla fusion grazie a un suono di proposito eterogeneo, ma basato su strutture collaudate: i brani si aprono spesso con melodie orecchiabili (derivanti dal rispetto per la forma-canzone) per sfociare in ritmi ballabili sostenuti anche da lunghe improvvisazioni del singolo e del collettivo. Anche nel «nuovo» cd è abbastanza facile rendersi conto dell’efficace meccanismo comunicativo, che, nella seconda metà dei Seventies, frutta alla band alcuni premi e diversi passaggi radiofonici negli Stati Uniti, benché, in Europa, ritenuta magari troppo «commerciale», la formazione viene snobbata dai puristi, salvo gli intenditori dell’Onkel Pö’s Carnegie Hall di Amburgo, dove il 2 luglio 1980 i Brothers, assieme a Mark Gray (tastiere), Barry Finnerty (chitarra), Neil Jason (basso e voce) e Richie Morales, offrono una performance strabiliante.
Più vicino al jazz club che ai festival giovanili – mete privilegiate, a quei tempi, di band similari e «amiche» quali Weather Report, Mahavisnhu Orchestra, Return to Forever, Headhunters, Lifetime e lo stesso Miles – l’Onkel, che in pochissimi anni vede salire sul palco il meglio del blues e dell’hard bop afroamericano, è l’ambiente ideale per esaltare le risorse virtuosistiche dei Brecker: e in alcuni passaggi il quintetto sfiora addirittura lo sperimentalismo.

ALLA DISTANZA
Alla distanza, quindi i Bros prima maniera emergono persino da «ricercatori», proprio loro dileggiati da certo giornalismo musicale che non ne intuisce subito la portata estetica; ma se oggi si torna indietro a riascoltarli su vinile, nel caso ad esempio dell’album Heavy Metal Be-Bop (1978) i suoni addirittura paiono antesignani di molto recente nu jazz, con un’immagine di copertina indiretta ispiratrice del duo francese Daft Punk vent’anni dopo. Senza nulla togliere at The Brecker Brothers (1975), Back to Back (1976), Don’t Stop The Music (1977), Detente (Arista 1980), Straphangin (1981) il centrale Heavy Metal Be-Bop impone quasi un credo divertentemente avanguardista fin dall’idea originalissima di mescolare la fisicità espressiva dell’hard rock con riff, sincopi, effetti a iosa, che i Randy e Michael sovente nobilitano con assolo post-free.
A circa un decennio dal misterioso scioglimento, di cui ancora si ignorano le vere cause, Michael, non pago di rinnovarsi in continuazione (nel frattempo crea con Mike Maineri gli Steps Ahead), per sperimentare un nuovo strumento chiamato EWI (electronic wind instrument, a mo’ di sax soprano con l’impiego dei campionamenti), ricompone la band con Randy (anch’egli impegnato su una tromba elettrificata); lungo gli anni Novanta – ed è il secondo picco di creatività condivisa – quindi i Bros pubblicano The Return of Brecker Brothers (1992), Out of the Loop (1994), Live (1995), oltre il «commemorativo» Some Skunk Funk (2004) con la dicitura Randy e Michael Brecker & WDR Big Band Köln diretta per l’occasione da Vince Mendoza (e farcita di ex compagni). Ed è ancora fusion, ma diversa dalle precedenti: non ci sono più i gruppi «storici» concorrenti e i pochi in circolazione sono di fatto delle reunion dal sapore nostalgico o formalista; forse per questo, i fratelli vogliono evitare il revival, riuscendo ancora per stupire nell’ormai proverbiale versatilità: suonano anche in acustico oppure sperimentano un’elettronica spinta, circondandosi sempre di collaboratori esperti, avvicendandosi nella band, gente come David Sanborn, Will Lee, George Duke, Terry Bozzio, Steve Khan, Mike Stern, Luther Vandross, Lenny White, Dave Weckl.
I Brecker potrebbero ancora continuare a lungo, ma la storia purtroppo termina il 13 gennaio 2007, quando Michael muore, a 57 anni, per una sindrome mielodisplastica, degenerata in leucemia, che da un paio d’anni lo costringe a letto: in tempo ancora per offrire due splendidi album da Gathering of Spirits (2004) e Saxophone Summit con Dave Liebman e Joe Lovano, a Directions in Music (2002) per celebrare John Coltrane e Miles Davis dal vivo nella mitica Massey Hall assieme a Herbie Hancock e Roy Hargrove. A perpetuarne la memoria – oltre l’inedito Live at the Bottom Line, nel 2012, con recital del 1975 e del 1976 – il fratello Randy cita spesso le loro musiche nelle ultime recenti esperienze: l’anno scorso in Rocks con l’amburghese NDR Big Band (ospite Sanborn) e in Sacred Bond con la nuova moglie Ada Rovatti a tratti si ascolta il feeling, soprattutto nei due duetti fiatistici, di un ensemble, i Brecker Brothers, davvero irripetibile.