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Bravate al Club Mediterranée

Cartelli di strada Bravate al Club Mediterranée

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 13 ottobre 2018

Mario e Gino, alti al di sotto della media, avevano fisico corpulento e viso rotondo. Gino agile e spigliato; Mario lento, goffo nei movimenti, non ancora trentenne ne mostrava dieci in più e si faceva chiamare dottore. Spesso capitavamo insieme e allora, con la Fulvietta di Mario, temporeggiante fuoricorso in medicina, ammazzavamo il solleone agostano lontano da spiagge sovraffollate di bagnanti del posto. In cerca della giornata alternativa, al mare, cosa c’era di meglio di un ambito selezionato per turisti come il Club Mediterranée? Accedere in un residence esclusivo, gestito dai francesi e affidato a una sorveglianza preposta alla tranquillità vacanziera degli ospiti, rappresentava un ostacolo se affrontato singolarmente. In gruppo invece ci si sfidava nella pratica dell’intrufolarsi, che consideravamo una sana competizione sportiva.

Nel Mediterranée ci eravamo già imbucati nella strepitosa festa notturna del 14 luglio, ricorrenza della presa della Bastiglia, con altri compagni di bravate. Quelli sì aitanti. L’ingresso dal cancello principale era stato superbo, per veri signori ci scambiarono esibendo ai controlli credenziali e inviti fasulli. Con Mario e Gino dunque, a metà mattinata, giungemmo con la macchina fin sotto alla pineta. Spogliatici di tutto, orologi e zoccoli compresi, restammo in slip percorrendo un tratto di scogliera bassa. Gli spuntoni di scoglio tormentavano i piedi e Mario avanzava gattoni, finché non si aprì l’insenatura con intorno i capanni in pietra del club che confusi nella vegetazione fungevano da residenze degli ospiti. Ci accolsero sussultanti seni nudi di giovanissime nordiche: lattei e opachi delle ultime arrivate, scuriti e lucidi delle reduci dalle settimane di sole.

“Fra dieci minuti il corso di windsurf”, mise sull’avviso l’animatore indaffarato sopra la banchina con le tavole a vela. Ce lo vedevamo il nostro Mario impalato su un pezzo di tavola fra le onde, lui che entrava dalla riva adagiandosi sul materassino dopo la nuotata nell’acqua di mezzo metro? Alla terza fetta di anguria gelata, che concludeva un pranzo sontuoso, qualcuno ci rese il conto di quanto avevamo sbafato. Invocammo la Brigitte, una danese che aveva relazionato con noi, spiegando che ne eravamo ospiti. Ma Brigitte era introvabile e di lei, oltre al nome, non sapevamo altro.

Cinquantamila lire, il costo di un pranzo per tre negli anni ’70. Pagando evitavamo la denuncia ai carabinieri. Senza un soldo, al ritorno la Fulvietta ci lasciò sulla provinciale col serbatoio a secco: tre chilometri a piedi con la bottiglia per raggiungere un chiosco e benzina a debito. I rovesci si alternavano ai successi, come in ogni impresa. Mai demordere. All’indomani eravamo già sulla strada per una spedizione al Valtur.

 

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